“Custodia et Traditio: memoria di ieri e sfide del domani” è il tema della relazione svolta da don Mauro Mantovani, Prefetto della Biblioteca Vaticana, in occasione della serata evento per l’intitolazione del Fondo antico della Biblioteca diocesana Biancheri di Rimini alla professoressa Cinzia Montevecchi. “Bella questa duplice opportunità di presentare un volume con gli scritti di Cinzia Montevecchi, che ho sentito proprio molto apprezzata sia come educatrice, come professoressa nel liceo classico e poi come prefetta della biblioteca, e l’attenzione per il Fondo antico, che implica delle conoscenze interdisciplinari nella gestione di volumi molto delicati ma che rimandano a un patrimonio di sapienza e di cultura che ci viene consegnato proprio perché lo trasmettiamo a nostra volta. So che questo istituto è molto vivace e il fatto che siano varie diocesi che fanno riferimento ad esso lo rende unico anche a livello internazionale”, ha commentato a margine.
Perché è importante investire nella cultura?
Viviamo in un momento storico che ci sfida proprio su che cosa sia essenziale per l’umano. La domanda sull’umano si manifesta anche nel rapporto tra la persona e la tecnologia, nel tema dell’intelligenza artificiale, su cui oggi si discute molto. Di fronte alla domanda su che cosa significhi essere umani, la cultura — che è la profondità di tutto ciò che abbiamo a disposizione come frutto delle epoche precedenti — è un dono grande che ci viene dato, che dobbiamo conservare e anche trasmettere. È la possibilità di non fermarsi alla superficie: anche l’educazione implica accompagnare la crescita delle nuove generazioni dando profondità, senza appiattirci sul presente ma coltivando la memoria. Così possiamo davvero affidare loro un futuro.
Nel suo intervento si è soffermato sulla figura del cardinale Garampi…
L’ho nominato perché nella storia della Biblioteca e dell’Archivio Apostolico Vaticano è estremamente importante, anche per l’organizzazione stessa di queste due istituzioni. So che in questo momento ci sono iniziative in corso a lui dedicate, ed è stato recentemente pubblicato un volume curato proprio da due collaboratori dell’Archivio Apostolico Vaticano. Sarà presentato con un evento specifico.
Fede e cultura devono dialogare? E perché?
Nel Salone Sistino, un vero gioiello della Biblioteca Vaticana, si vede chiaramente che i dipinti sono stati concepiti per far dialogare fede e cultura. Da una parte, il patrimonio teologico, il magistero della Chiesa, i Concili, a partire da quello di Nicea di cui ricordiamo i 1700 anni. Dall’altra parte, le grandi biblioteche dell’antichità. Perché è importante? Perché una fede che non diventa cultura rischia di essere anche un po’ pericolosa. Siamo chiamati, come dice san Pietro nella sua lettera, a essere sempre pronti a rendere ragione della fede e della speranza che sono in noi. Una fede, per essere piena, umana, propositiva e dinamica, deve diventare cultura. Deve innervare il modo di pensare, di guardare la realtà e anche il modo di costruire la società, a partire dall’organizzazione stessa della convivenza, da come guardiamo il creato, da come ci relazioniamo. È una fede che diventa vita vissuta e quindi anche modo di pensare e di agire.
La carità intellettuale è un tema toccato prima da Papa Francesco, poi da Papa Leone…
La ritroviamo anche in Paolo VI, nella formazione degli universitari. È un tema trasversale, un fil rouge portato avanti dai pontefici recenti. Sottolinea il fatto che esistono varie forme di carità. È importantissima quella samaritana, che risponde a un’esigenza immediata, a un imprevisto, a una situazione di bisogno di fronte a tutte le povertà e vulnerabilità: bisogna intervenire subito.
Però, oltre a questa, ci sono la carità politica e la carità culturale. Più vengono esercitate, più si creano le condizioni per cui la carità samaritana, che ci sarà sempre, possa inserirsi in una società organizzata in modo umano. Si costruiscono relazioni e un modo di pensare e guardare la realtà a misura d’uomo, nella costruzione di quella che Paolo VI chiamava civiltà dell’amore.
Questo lo aveva capito benissimo Marvelli, una figura per me interessantissima. In lui c’è una sinergia di esperienze spirituali e carismatiche diverse: l’oratorio salesiano, l’Azione Cattolica, la Fuci. Nella sua persona convivono contributi diversi, tutti orientati al donarsi, al fare della vita un dono che diventa costruzione del bene comune. E anche al desiderio di ampliare la cultura non solo per gli intellettuali, ma per tutti. È una figura bellissima, un grande testimone.
La diplomazia culturale: che cos’è? E come la vive nel suo ruolo di prefetto della Biblioteca Vaticana?
La ricerca della verità attraverso la promozione dello studio, affrontando i temi partendo dalle fonti, supera barriere di provenienza e anche differenze religiose. Noi accogliamo studiosi da tutto il mondo: studiosi provenienti da Paesi musulmani, ebrei che vengono a studiare i loro testi. E ancora, nella sala manoscritti può capitare di trovare uno studioso russo accanto a una studiosa ucraina. Promuovere lo studio e la ricerca permette di costruire ponti. Tra l’altro è interessante che il vostro giornale si chiami proprio il Ponte. Sono ponti per il dialogo, resi possibili in una forma diversa rispetto a contesti dove sarebbe più difficile. Dove la diplomazia politica fa fatica ad arrivare, la diplomazia culturale, facendo essa leva sul bello, sul vero, sul buono, su ciò che umanamente ci cattura e ci appassiona, riesce ad andare oltre le divisioni politiche.
Si può quindi dire che la Biblioteca Vaticana ha un ruolo politico?
Nel senso più profondo dell’azione politica, di cui Marvelli è un testimone, cioè il promuovere e lavorare per il bene comune, certamente sì. Ed è anche un’istituzione pubblica. Molti pensano che sia un luogo chiuso o quasi inaccessibile. In realtà, sia la Biblioteca sia l’Archivio, con le regole proprie di tutte le istituzioni bibliotecarie o archivistiche, sono accessibili. Non sono visitabili come i musei, che hanno quella funzione specifica, ma sono aperte agli studiosi e alla ricerca. Spesso accogliamo anche gruppi universitari, colleghi bibliotecari, gruppi che chiedono di venire: cerchiamo di essere disponibili, pur mantenendo come priorità il servizio agli studiosi. Anche l’organizzazione della vita della Biblioteca e degli orari va in questa direzione: mettere al centro l’attività degli studiosi.

