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Comunità energetiche, a che punto siamo?

Rappresentano un’opportunità in ottica di transizione energetica, ma l’Italia sconta un certo ritardo a livello normativo. Il punto della situazione alla Fiera di Rimini, tra auspici e criticità

Non solo eolico, non solo fotovoltaico. L’urgente necessità di una transizione verso forme di energia rinnovabile rende essenziale lo sviluppo di quante più soluzioni possibili per un futuro che diventi completamente indipendente dalle fonti fossili. Tra queste soluzioni, da qualche tempo si sta facendo spazio nel dibattito pubblico il tema delle CER, le Comunità Energetiche Rinnovabili: forme associative, i cui membri possono essere enti pubblici, privati e anche singoli cittadini, il cui fine è quello di produrre energia rinnovabile che poi viene messa in condivisione tra i propri membri. Con benefici di diverso tipo: ambientali, essendo energia pulita; sociali, rafforzando le comunità locali, creando nuove opportunità e posti di lavoro; e, in particolare, economici, potendo accedere a incentivi che ammortizzano il costo delle bollette. Sulla carta, dunque, vincono tutti.

Solo sulla carta, però, perché ad oggi l’Italia è profondamente in ritardo sul tema.

Decreto, dove sei?

In sintesi, in Italia le comunità energetiche sono regolate da un decreto legge del 2019, che a sua volta rientra in tutte quelle norme che devono dare una risposta all’esigenza, espressa dall’Unione Europea con una direttiva ormai 20 anni fa, di promuovere l’utilizzo di forme di energia pulita. Ad oggi, però, manca ancora il decreto attuativo del Ministero dell’Ambiente, che ha lo scopo di definire le modalità di accesso e i requisiti per beneficiare degli incentivi previsti per le comunità energetiche, e quindi dare un impulso concreto al loro sviluppo.

Decreto che sembra ormai imminente (al momento di andare in stampa il testo è stato inviato alla Commissione europea, che dovrà dare il via libera per l’entrata in vigore), ma che sconta già diversi mesi di ritardo. Qualora il decreto ricevesse “luce verde” dall’Europa, dunque, i membri delle comunità energetiche in Italia si troverebbero a poter beneficiare di due tipi di agevolazioni: da una parte un incentivo in tariffa (tre fasce di incentivi, sulla base della potenza erogata dall’impianto) e dall’altra un contributo a fondo perduto attraverso fondi del PNRR (2,2 miliardi di euro), anche se questa misura è riservata solo alle comunità energetiche costituite nei comuni con meno di 5mila abitanti. Il contributo previsto ammonterebbe al 40% dell’investimento, sia per quanto riguarda la realizzazione di nuovi impianti sia per il potenziamento di quelli già esistenti.

Obiettivo dell’intervento è quello di realizzare una potenza complessiva di almeno due gigawatt e una produzione indicativa di almeno 2.500 GW all’ora ogni anno.

Le criticità

Come detto, però, nonostante il decreto sia imminente, permangono ancora diversi problemi legati al tema delle comunità energetiche nel nostro Paese. Criticità di cui si è parlato nei giorni scorsi proprio a Rimini, nell’ambito della fiera K.EY-The Energy Transition Expo, organizzata da Italian Exhibition Group e dedicata alle energie rinnovabili. “ Partiamo da un dato secco: in Italia le comunità energetiche (sostanzialmente) non ci sono. – è l’intervento di Francesco Ferrante, vicepresidente di Kyoto Club, ente no profit costituito da imprese, associazioni e amministrazioni locali al fine di sensibilizzare e fare promozione sui temi dell’efficienza energetica e della transizione ecologica – Ce ne sono davvero pochissime.

Ed è una situazione diversa rispetto ad altri territori europei, nei quali sono già numerose e diffuse, soprattutto nella penisola iberica, in Germania e nei Paesi del nord-Europa.

L’Italia non è nemmeno paragonabile.

È vero, il decreto attuativo è imminente. Ma, allo stesso tempo, devo sottolineare che si tratta di un decreto che ormai è in ritardo di un anno: si prevedeva, infatti, che tale decreto fosse emanato entro marzo 2022. Ma non è l’unico problema”.

Quali sono le altre criticità? “ La questione, che non sempre si considera, è che per sua natura si tratta di un tema tutt’altro che semplice. – prosegue Ferrante – Quella delle comunità energetiche è una questione complessa non solo dal punto di vista tecnico o tecnologico, quindi valutarne la produzione e il consumo energetico e incrociarne i dati in ottica di incentivo, ma anche da quello dell’individuazione, a monte, delle aree idonee alla realizzazione di quegli impianti di produzione di energia rinnovabile che possano poi diventare parte di una comunità energetica. Si tratta di un percorso non semplice, soprattutto nei comuni, che vanno aiutati e seguiti, senza dimenticare che tantissimi dei comuni italiani presentano aree di importante rilevanza storica, nei quali è ancora più complicato realizzare impianti energetici.

A tutto questo, poi, si aggiunge proprio una complessità pratica nella stessa costituzione di una comunità energetica: come si crea?

Con quale forma giuridica? Chi può offrire aiuto? In quale regime fiscale si rientra?

Sono tutte domande non banali. In questa fase, dunque, è importante avere chiarezza, fare una rassegna di tutte le possibilità affinché cittadini ed enti possano avere gli strumenti necessari per realizzare le comunità energetiche. Oggi è questo l’impegno fondamentale da assumersi, vista la straordinaria possibilità che le CER rappresentano per l’Italia, non solo per aumentare l’utilizzo delle energie rinnovabili, ma per stimolare la partecipazione sul territorio e, in questo modo, sviluppare democrazie più mature”.