Home Attualita “Città sventrate. E la gente piange davanti alle macerie”

“Città sventrate. E la gente piange davanti alle macerie”

LA TESTIMONIANZA. Daniele Bombardi è un operatore di Caritas Italiana

Sei febbraio 2023. Ore 4.17. Gaziantep, Turchia centro-meridionale. La terra trema una, due volte. E… benvenuti all’inferno!

Dove la gente piange davanti alle macerie di quella che una volta era la propria casa. Dove giovani, vecchi e bambini urlano la loro disperazione per quei parenti che ancora oggi, a distanza di un mese da quel terribile terremoto, non si trovano. Dove intere famiglie non hanno più nulla. Dove l’acqua potabile non esiste. Dove le medicine scarseggiano. Dove centinaia di persone stanno cercando di incamminarsi verso un futuro che possa essere tale. E in questo scenario apocalittico c’è chi, in questi giorni, sta cercando di dare una mano. A rischio della sua stessa vita. Daniele Bombardi è uno di questi. Coordinatore di Caritas Italiana per l’area balcanica, 42 anni, da 18 è in Bosnia e da 5 si occupa anche di Turchia. Lo raggiungiamo grazie al Direttore della Caritas riminese, Mario Galasso.

Daniele, qual è la situazione in questo momento?
“Drammatica, per non dire disperata. Telegiornali, siti internet, carta stampata: nessuno riesce a dare l’esatta portata di un evento naturale che ha avuto ripercussioni per un’area di 350 chilometri. Per capire la situazione bisogna prendere in esame due elementi diversi l’uno dall’altro. Il primo. Il terremoto ha colpito una zona molto popolata, con tante città, tanti villaggi. Luoghi che ora non esistono più. Al posto delle case ci sono solo grandi cu- muli di macerie e gente che li guarda piangendo tutta la propria disperazione. Si parla di oltre 50.000 vittime riconosciute. Purtroppo è un numero destinato a crescere. E anche in modo esponenziale. Sotto le macerie ci sarà il doppio dei morti che ancora oggi non sono stati ritrovati. Il secondo aspetto da valutare è quello dei sopravvissuti. Persone che fortunatamente si sono salvate, ma che hanno perso tutto: casa, lavoro e magari anche familiari”.

Non deve essere facile intervenire in quella zona.
“Assolutamente no. Al di là della situazione drammatica che si sta vivendo in questi giorni, successiva alle diverse scosse di terremoto, questa era già un’aerea molto problematica. A livello politico, per esempio, le Ong e la Chiesa cattolica non sono ben viste, si tende a farle tacere. Figurarsi adesso, in una situazione emergenziale come questa. Il Governo non vuole assolutamente che si dica che ci sono realtà che lo stanno aiutando, soprattutto perché tra tre mesi ci saranno le elezioni politiche. Senza dimenticare che in questo spicchio di terra le tensioni sono tante: ci sono i curdi, i tur- chi e tanti siriani che, in questi mesi, hanno raggiunto la Turchia per cercare di ricostru- irsi una vita. Ecco, pensare a questa gente che è scappata da una situazione disperata per avere, e dare ai propri figli, un futuro più sereno e che ora si ritrova senza nulla in mano, fa male. Doppiamente”.

Daniele, che tipo di aiuti si possono dare?
“Faccio una premessa. Tante città, tanti villaggi non esistono più. E di conseguenza non ci sono più scuole, ospedali, banche, supermercati. La terza scossa, inoltre, ha convinto an- che quelle poche persone che avevano deciso di rimanere, non solo per dare una mano, a scappare. Quindi, adesso, ci sono degli scenari spettrali. E questo vale solo per la Turchia, in Siria, la situazione è ancora peggiore perché alla disperazione si somma il clima rigidissimo che sta mietendo diverse vittime rimaste senza casa, senza un rifugio, senza nulla con cui coprirsi. Detto questo, l’invito che faccio a tutti è quello di non mandare vestiti, scarpe, cappotti, giacche, ma bensì, denaro. Perché con quel denaro si può far ripartire anche l’economia locale. Cosa che, in questo momento, è fondamentale. Caritas Italiana ha messo a disposizione diversi conti correnti e so che in tante chiese italiane si stanno facendo delle collette e ce ne sarà una generale domenica 26 marzo. So che la situazione economica italiana non è delle migliori, ma credetemi, qui è un inferno. L’altra cosa di cui ci sarebbe bisogno è l’accoglienza. Migliaia di persone, come dicevo prima, si stanno spostando per cercare un futuro migliore per loro e per i loro figli. Ma hanno bisogno di posti letto, di luoghi che possano accoglierli. Tante parrocchie hanno aperto le proprie porte e ospitano questi pellegrini che continuano ad arrivare in massa. Anche perché, il terremoto, ha portato un altro problema che in questi giorni sta mettendo in ginocchio i sopravvissuti: la mancanza di acqua potabile”.