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Chiara Ruggeri, una vita senza confini

Sono sempre stata molto legata ai miei genitori. Quando ero piccola, ad esempio, ad ogni campeggio scout mi capitava spesso di piangere per la nostalgia e per essere lontana da casa”.

Eppure è bastato un viaggio, fatto nel momento giusto e nel luogo giusto, per capire che il mondo può svelare il proprio volto migliore se lo si scopre in prima persona, girandolo in lungo e in largo, spingendo i propri orizzonti sempre più in là. È la storia di Chiara Ruggeri (nelle foto), giovane ragazza riminese che a soli 23 anni ha probabilmente già viaggiato di più di quanto tante persone facciano in un’intera vita.

E non vuole certo fermarsi: dopo la sua prima grande avventura in America latina nel 2012, la vita di Chiara è stata un continuo spingersi verso nuove esperienze, alla scoperta di mondi, culture e persone sempre nuove e sempre diverse. Un viaggio continuo, in cui la rotta, però, non è percorsa navigando a vista: “Ovunque mi porteranno i miei viaggi, e qualunque siano le mie esperienze, il mio desiderio più grande rimane uno: quello di poter svolgere attività di servizio e aiuto per gli altri, per chi è in difficoltà, per chi ha bisogno”. Un desiderio espresso attraverso la scelta di diventare un Casco Bianco, per svolgere il Servizio Civile all’estero, in Zambia (attraverso un progetto della Comunità Papa Giovanni XXIII).

Chiara, partiamo dall’inizio. Com’è cominciata la tua vita da “avventuriera”?
“Era il 2012, avevo 15 anni e dovevo cominciare la terza superiore. Si è presentata l’opportunità di fare un’esperienza all’estero con l’associazione Intercultura, che si occupa di progetti di scambio culturale, in cui gli studenti vengono accolti da famiglie di altri Paesi su base volontaria. Un’idea molto stimolante, così ho fatto domanda per la Repubblica Dominicana, perché sono sempre stata particolarmente affascinata dall’America Latina. Domanda accolta: sono partita”.

Dove sei stata?
“Sono stata in un piccolo paesino al confine con Haiti, che è una delle zone più povere del Paese. Per intenderci, non c’era nemmeno l’acqua corrente. Ho vissuto per un anno con una famiglia del luogo, affrontando tutte le difficoltà, anche forti, di un’esperienza del genere: oltre al normale scoglio iniziale della barriera linguistica, mi sono dovuta impegnare molto per gestire tutte le sfide necessarie per ambientarmi e calarmi a pieno in una situazione del genere. Ma proprio per le sue caratteristiche questo viaggio mi ha portato a crescere e maturare molto, e soprattutto a cambiare la mia mentalità: nel mondo c’è così tanto da scoprire che non potevo fermarmi. È stato come un trampolino di lancio”.

E così, dopo la Repubblica Dominicana, dove hai puntato la tua bussola?
“Il viaggio successivo è arrivato nel 2015, al termine delle scuole superiori. Si trattava di un periodo molto importante della mia vita, perché dovevo prendere una decisione delicata: cosa fare nella vita dopo il diploma. Non avevo le idee abbastanza chiare, così ho colto l’occasione per approfondire e migliorare il mio inglese partendo per l’Australia. In realtà, devo essere sincera, la questione linguistica era uno dei motivi, anche se di certo non quello principale: avevo bisogno di prendermi il tempo necessario per capire veramente quale dovesse essere la mia strada dopo la fine della scuola. Un viaggio del genere poteva aiutarmi ad aprire la mente e riflettere”.

Com’è andata questa avventura australiana?
“Al contrario del viaggio nella Repubblica Dominicana, in cui ero all’interno di un progetto specifico e in un contesto familiare, sono andata in Australia in autonomia, con l’intento di mantenermi lavorando. Così, dopo aver ottenuto il visto, sono partita per Sydney assieme al mio ex fidanzato che lavorava nel settore della ristorazione. Dopo qualche mese, lui è tornato in Italia per iniziare la stagione turistica mentre io ho deciso di rimanere in Australia: attraverso un’agenzia online chiamata AuPairWorld ho avuto l’opportunità di andare a vivere, come ragazza alla pari, in una famiglia a Brisbane, sulla costa est dell’Australia. Non è stata una situazione facilissima: la famiglia che mi ospitava stava vivendo alcune difficoltà, così dopo tre mesi ho deciso di ritornare in Italia e cominciare il mio percorso di vita post-diploma”.

Raccontaci, quale percorso hai intrapreso?
“Mi sono iscritta alla Facoltà di Scienze diplomatiche internazionali, presso l’Università di Forlì. Anche qui, però, il viaggio ha avuto un ruolo fondamentale: ho scelto quel corso, infatti, perché c’era la possibilità di studiare per un semestre del primo anno in Argentina, a Buenos Aires, dove l’Università di Bologna (della quale fa parte anche quella di Forlì) ha una sede. Sono stata presa, così ho fatto le valigie ed è cominciato quest’altro viaggio, così diverso non solo per il luogo, ma anche per la mentalità: in passato avevo viaggiato in contesti familiari o di lavoro, mentre in questo caso la mia attività principale era lo studio e la formazione. Il tutto in una città come Buenos Aires, una realtà gigantesca, davvero impressionante nelle sue dimensioni e negli stimoli offerti. Una vera e propria metropoli”.

In un contesto universitario, di certo non poteva mancare l’Erasmus!
“Esattamente! Infatti nel 2019, arrivata al terzo anno di studi, ho fatto domanda per svolgere il periodo Erasmus ad Alicante, in Spagna. Ho ottenuto la borsa di studio e sono partita: sono stati sei mesi straordinari, vissuti in una città davvero meravigliosa e a contatto con persone incredibili. Ma un altro crocevia della vita si stava avvicinando: la fine del percorso universitario e la necessità di decidere cosa fare dopo. Mi considero una sognatrice, ho mille progetti, sogni e desideri in testa, ma quando arriva un momento di transizione nella vita non ho mai le idee chiare in un primo momento. Ho sempre bisogno di prendermi il mio tempo, ragionare senza fretta, aprire la mente”.

E lo hai fatto a modo tuo.
“Sì, viaggiando. Durante l’Erasmus ho conosciuto il mio attuale fidanzato, e insieme abbiamo deciso di percorrere il Cammino di Santiago di Compostela… in tandem! Siamo partiti da Alicante e, dopo 1200 km e 25 giorni di pedalate, siamo arrivati a Santiago”.

Un viaggio che ha portato i suoi frutti?
“Il vero motivo per cui ho deciso di studiare Scienze diplomatiche non era mai stato quello di diventare agente diplomatico. Il mio vero desiderio è sempre stato quello di poter svolgere un lavoro di servizio, di aiuto concreto a chi ne ha più bisogno, sempre assieme alla volontà di viaggiare e scoprire luoghi nuovi. Era arrivato il momento, quindi, di mettermi in gioco in qualcosa di più concreto: e così ho deciso di entrare nel mondo del Servizio Civile all’estero, assieme al mio fidanzato, diventando un Casco Bianco: attraverso un progetto della Comunità Papa Giovanni XXIII saremmo dovuti partire per lo Zambia la scorsa primavera, ma il lockdown ha bloccato tutto. Ad oggi, infatti, siamo ancora ‘congelati’, in attesa di sapere quando e come poter partire”.

Non sai ancora quando partirai per l’Africa. Arrivata fino a questo punto, però, puoi già fare un bilancio di tutte queste avventure?
“Ogni viaggio mi ha dato qualcosa in più e non so cosa possa riservarmi il futuro. La più grande lezione che i viaggi mi hanno dato, e che mi porto dietro fin dalla prima avventura in America latina, è la forza che deriva dall’adattabilità. Rimboccandosi le maniche è possibile adattarsi ai più diversi contesti, e così crescere e maturare. In fondo, il mondo può essere scoperto solo se permetti a te stesso di aprirti ad esso”.