Home Attualita Autismo: in 12 anni casi aumentati del 360%

Autismo: in 12 anni casi aumentati del 360%

AUTISMONell’assistenza agli adulti con autismo “Rimini rappresenta un’eccellenza nazionale, una delle poche Ausl in cui è presente un servizio dedicato ai maggiorenni per l’inserimento nel mondo del lavoro”. È quanto dicono in coro i medici Serenella Grittani, responsabile del Centro autismo di Rimini, e Riccardo Sabatelli, direttore della Riabilitazione Psichiatrica, l’unità che segue il progetto Autismo Adulti. il Ponte li ha incontrati, insieme al direttore della Neuropsichiatria Infantile Andrea Tullini, per fare il punto su quanto la Ausl di Rimini offre alle famiglie di persone affette da tale disturbo.
Innanzitutto, perché non è corretto parlare di malattia in riferimento all’autismo?
“Perché malattia rimanda alla parola cura, invece da questo disturbo non si guarisce. È una condizione cronica che ostacola lo sviluppo e che si può presentare in molteplici forme, tutte accomunate dalla disabilità sociale”.
Però in alcuni casi è possibile vivere una vita normale, giusto?
“Un adulto su quattro di quelli che assistiamo, lavora. Anche se si tratta per lo più di contratti protetti, queste persone vivono in un contesto di relativa normalità. Sono circa una ventina, ovvero la metà di tutti gli autistici lavoratori in Emilia Romagna che è una delle regioni con la migliore risposta al tema del lavoro per queste persone”.
L’assistenza agli adulti non è consuetudine, perché è importante?
“In genere con la maggiore età chi soffre questo disturbo si disperde tra i servizi sociali e psichiatrici, e la diagnosi può essere erroneamente cambiata. È importante dare una risposta specialistica anche agli adulti e in questo Rimini rappresenta un’eccezione. Ecco perché in pochi anni i casi sono passati dai 19 del 2007 ai 101 del 2015”.
Anche i minori sono aumentati…
“Sì, erano 70 nel 2004 e oggi sono 250. Si stima che nel mondo l’autismo colpisca l’uno per cento della popolazione. A Rimini il valore è di circa un terzo, il 3.5 per mille (la media regionale è ancora più bassa). Di sicuro ci aspettiamo un aumento nei prossimi anni”.
E le risorse economiche sono aumentate di pari passo?
“No, sono sempre le stesse. Per lo meno non abbiamo subìto tagli. E comunque la nostra realtà è in linea con i servizi più avanzati”.
A cosa si deve l’aumento dei casi registrati?
“In parte alla sensibilizzazione di pediatri e scuole. In parte all’aumento dell’età dei genitori e ad altri fattori ancora allo studio, come l’inquinamento ambientale e l’alimentazione prima e durante la gravidanza; tutti quanti mediati dalla genetica di ciascun individuo”.
A Rimini è presente una forte realtà anti-vaccino. Cosa ne pensate?
“Sentiamo porre sempre di meno il problema del vaccino da parte delle famiglie che seguiamo. Nessuno studio validato dalla comunità scientifica internazionale ha mai dimostrato che i vaccini possano causare l’autismo. Quello che l’opinione pubblica disconosce è che c’è una concomitanza esclusivamente temporale e non causale tra il periodo delle prime vaccinazioni e lo sviluppo dell’autismo”.
Su che tipo di assistenza possono contare i bambini?
“Su una fase valutativa che può durare dai 6 ai 18 mesi, sull’educatore domiciliare, la logopedia, gli incontri di gruppo e un rimborso economico. L’intervento è estremamente individualizzato dato che ciascun bambino è diverso dall’altro”.
Ma in termini di ore, di cosa parliamo?
“Una media di 3 ore a settimana a minore. Sono poche, ma vanno sommate le 40 ore della scuola dell’infanzia, la quale va resa funzionale formando gli educatori di sostegno. Anch’esse sono ore frutto di una nostra certificazione”.
Se aveste più risorse economiche cosa migliorereste?
“Si potrebbe partire col dare sollievo alle famiglie con strutture per soggiorni ad hoc. Poi è importante ridurre l’attesa per la diagnosi, che è causa di grande stress. E nei casi più complessi fare scelte più oculate, come quando si hanno due fratelli autistici. A Rimini questo fenomeno riguarda 4 famiglie”.
Insomma, ridurre lo stress di tutta la famiglia.“Un genitore di un bambino che non riesce a comunicare è molto provato. La loro vita è una serie di fasi stressanti: la diagnosi, l’inserimento scolastico, l’impulsività adolescenziale… Una condizione che può portare a non interpretare correttamente i diversi strumenti per comunicare di questi bambini (come può essere lo sfarfallio delle mani). Il rischio? La regressione del disturbo”.

Mirco Paganelli