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“Alto interesse archeologico”

Lo studio commissionato dal comune di Rimini agli archeologi Faedi e Tassinari conferm l'"alto interesse archeologico" dell'area dell'anfiteatro romano, ma anche l'ipossibilità di ulteriori scavi in presenza delle attività del Ceis

C’è stata tanta fretta più o meno una settimana fa nel presentare alla stampa l’esito dello studio (esclusivamente archivistico e bibliografico) sull’anfiteatro. Una ricerca commissionata dall’amministrazione comunale agli archeologi Martina Faedi e Cristian Tassinari. Il documento è stato diffuso qualche ora prima della commissione cultura che mercoledì scorso si è riunita per valutarlo. “ Per la prima volta, non si contrappongono più le esigenze della tutela archeologica alle funzioni sociali e scolastiche del Ceis”, ha detto l’assessore alla cultura del comune di Rimini Michele Lari. Tuttavia, dall’analisi elaborata dagli esperti risulta un’incompatibilità tra nuovi scavi “ auspicabili” e la destinazione dell’area alle attività educative del Ceis. Scavi che nel marzo del 2023 il sindaco Jamil Sadegholvaad si era detto pronto a sostenere. Magari memore dell’eredità di Luigi Tonini, che tra il 1843 e il 1844 finanziò ed eseguì la prima campagna archeologica sul sito, pur consapevole che il monumento versava in cattive condizioni. Qualcosa venne fuori, ma i soldi finirono e dovette ricoprire tutto, non senza un certo rammarico.

Tanto da lasciare scritto che sarebbe stato suo desiderio “ che, o l’unione di generosi cittadini, o la provvidenza del Superiore Governo, intraprenda un più esteso lavoro, one rivegga interamente la luce tutto quello, che di tanta mole ne avanza, e sia curato, perché si tramandi ai futuri anche questo bel documento della grandezza di questa antica Patria”. Cosa aveva visto Tonini?

Cosa dicono gli archeologi?

La ricerca ha evidenziato con forza la necessità di un nuovo progetto di valorizzazione integrata, che tenga conto non solo dell’importanza archeologica dell’anfiteatro, ma anche del suo ruolo nella percezione urbana e nella memoria collettiva della città”, scrivono in conclusione.

L’anfiteatro “ emerge da quest’indagine come un oggetto complesso, stratificato e ricco di potenzialità, la cui conoscenza non può prescindere dalla storia delle sue riscoperte, dei suoi restauri e dei suoi silenzi documentari”.

Il quadro emerso “ suggerisce la necessità di un approccio multidisciplinare alla tutela e alla valorizzazione del sito, che integri la dimensione archeologica, quella urbanistica e quella archivistica”. In questa prospettiva, “ il lavoro qui presentato si propone come base di partenza per ulteriori indagini, auspicando una maggiore sinergia tra enti di tutela, istituzioni locali e comunità cittadina”.

Cosa farebbero gli archeologi?

Propongono cinque scavi mirati nell’area museale già fruibile al pubblico, ma non solo. Delineano anche cosa si potrebbe fare all’area, pari a quattro terzi circa dell’estensione complessiva del monumento, occupata dalle strutture e dalle attività del Centro educativo italo svizzero, appoggiato nel 1946 sull’anfiteatro in via provvisoria (perché si trattava di terreni vincolati dalla soprintendenza) e per il quale fino ad oggi non si è mai fatto un serio ragionamento su quella che potrebbe essere un’adeguata desiderabile sede definitiva.

Lì, spiegano Faedi a Tassinari, si potrebbe agire con georadar.

Può fornire indizi utili sull’organizzazione del sottosuolo” e guidare “ future scelte operative”, calibrare con maggiore precisione” l’apertura di eventuali saggi di scavo “ limitando interventi invasivi e ottimizzando le risorse”.

Andare oltre la logica che contappone anfiteatro e Ceis: l’anfiteatro non è né di destra né di sinistra

Scavi: necessari e impossibili

Secondo gli archeologi, “ l’area libera tra i fabbricati rappresenta un contesto di alto interesse archeologico, nel quale sarebbe auspicabile condurre dei saggi esplorativi al fine di acquisire dati diretti sulla conservazione, l’estensione e le caratteristiche strutturali dei resti antichi”.

Tuttavia, sono presenti “ una serie di limitazioni fisiche e funzionali che impongono pesanti”: i resti si troverebbero molto in giù, tra i tre e i quattro metri, in zona non ci sono aree dove stoccare la terra di risulta, presenza di radici e sottoservizi, la attività della scuola. “ L’aspetto forse più critico è rappresentato dalla funzione attuale dell’area: il Ceis ospita bambini in età prescolare, e lo svolgimento degli scavi archeologici risulta incompatibile con le esigenze di sicurezza, tranquillità e continuità delle attività didattiche”. Per cui, sottolineano gli archeologi, l’esecuzione di scavi sarebbe “ estremamente difficoltosa e condizionata, se non del tutto impraticabile in assenza di una pianificazione integrata e condivisa”.

Quell’idea che valorizzerebbe tutto

Nelle ultime ore, l’architetto Mauro Ioli, fino a poco tempo fa presidente della Fondazione Carim, ha lanciato una proposta.

Le attività del Ceis, meritorie e storicamente radicate, potrebbero trovare nuova e migliore sede in una delle colonie marine oggi in disuso lungo la costa riminese”. La soluzione porterebbe un doppio beneficio per la città. “Liberare il sito archeologico per una nuova, straordinaria stagione di scavi e valorizzazione” e “rigenerare un fabbricato costiero, sottraendolo al degrado e restituendogli una funzione educativa, sociale e simbolica. Si tratterebbe di un’operazione culturale e urbanistica che guarda al futuro, senza rinnegare nulla del passato recente.

Anzi: valorizzando entrambe le memorie”.

Filomena Armentano