Home Attualita “Sono al centro dell’integrazione”

“Sono al centro dell’integrazione”

In patria appassionato di pallacanestro e adesso anche nella compagine societaria della Rinascita Basket Rimini. All’estero affermato professionista nel campo delle consulenze e partnership internazionali con residenza a Dubai e “impiego” per una holding riconducibile alla famiglia reale di Abu Dhabi. Parliamo di Federico Cervellini, romagnolo di origine sammarinese, che vive questa particolare doppia vita divisa tra cuore di tifoso e professione.

Federico, come sei arrivato negli Emirati Arabi Uniti?
“La prima volta sono venuto ad Abu Dabi nel 2008, per trovare degli amici emiratini che avevo conosciuto durante un’altra vacanza nel sud della Francia. Entrambi avevamo lavorato nella security, per cui abbiamo cominciato a parlare delle nostre esperienze e di quelle che avevamo in comune. Alla fine, dopo alcune settimane là, uno dei ragazzi, il capo del servizio di scorta di quello che poi è diventato il mio superiore, mi ha proposto di rimanere lì”.

Quali sono state le tue esperienze professionali in Italia?
“Ho lavorato per anni nel campo della sicurezza, trasporto valori e ho avuto anche esperienze come security in trasmissioni televisive e nel mondo industriale. Infine, la mia ultima occupazione in Italia, è stata quella del security manager per una grossa azienda di moda”.

Torniamo negli Emirati. Eri in vacanza e ti hanno fatto un’offerta di lavoro, e poi?
“La prima cosa che ho pensato è stata: Sì! Per cui ho accettato. Era il 2008. Per il primo anno e mezzo ho fatto avanti e indietro tra gli Emirati e l’Italia, poi, nel 2010, mi sono trasferito definitivamente ad Abu Dhabi. Avevo poco più di trent’anni e mi è sembrata una bella possibilità. Non parlo solo del prestigio del lavoro – lavoravo per una holding riconducibile alla famiglia reale di Abu Dhabi – ma anche per lo stile di vita. Questo luogo porta ad avere una mentalità molto aperta, perché qui, su 12 milioni di abitanti, più di 10 sono espatriati, gente che è venuta a vivere e lavorare da altre parti del mondo. Ogni giorno ti confronti con persone e culture diverse, lontanissime, cosa che a me piace tanto. Inoltre il lavoro che faccio mi porta a viaggiare tantissimo. Prendo una media di 50, 60 aerei l’anno e mi sposto in tutto il mondo. Sono stato da poco negli Stati Uniti e a breve partirò per Colombia e Messico, solo per citare gli ultimi spostamenti”.

Di cosa ti occupavi esattamente ad Abu Dhabi?
“Ero quello che si definisce un palace manager, gestivo il personale che lavorava a Palazzo, circa 60/70 persone di svariate nazionalità”.

Quindi sei arrivato nel 2008, nel 2010 sei diventato stanziale, e poi non ci sono stati più cambiamenti?
“Ci sono stati, ci sono stati. Nel 2013 ho avuto un’offerta per venire a lavorare a Dubai, per la famiglia reale di Dubai. A differenza di Abu Dhabi qui, insieme ad altri 3 colleghi abbiamo preso in carico l’ufficio privato del cognato dell’Emiro di Dubai, e abbiamo gestito i suoi affari personali che si sviluppano principalmente nei settore delle costruzioni, energie rinnovabili, corporate estate, e nella gestione dei contatti con chi vuole intrattenere rapporti commerciali”.

Quindi adesso sei a Dubai.
“Sì, ma ho cambiato nuovamente lavoro. A fine 2017 ho ricevuto un’altra offerta dalla holding riconducibile alla famiglia di Abu Dhabi che ha uffici anche a Dubai, per cui sono tornato a lavorare per loro, ma sono rimasto a Dubai”.

Ricapitoliamo: sei a Dubai ma lavori per la famiglia reale di Abu Dhabi, da quando sei qui questo è il terzo lavoro che cambi. Ora quali sono le tue mansioni?
“Sono specializzato nelle partnership internazionali, in pratica mantengo i contatti e faccio networking, per produttori e aziende che vogliono venire negli Emirati Arabi sia come ‘final destination’ che come ponte per altre destinazioni. Se ci si pensa gli Emirati Arabi, geograficamente godono di una posizione centrale. In aereo impieghi circa 7 ore per arrivare in Asia, Cina, e ugualmente 7 ore per arrivare in Europa. I porti e gli aeroporti degli Emirati muovono ogni giorno milioni di persone. È diventato un hub importantissimo, anzi fondamentale. Qui è dove oggi si scrive il futuro, soprattutto lavorativo”.

Com’è la tua giornata lavorativa?
“Mi sveglio presto, un po’ di relax e di attività fisica e poi in ufficio dove per tutta la giornata si susseguono incontri, meeting, chiamate con i nostri clienti da tutto il mondo. Oltre a tenere i rapporti con loro lavoriamo anche per trovarne altri. È un’attività in cui è importante fidelizzare il cliente, avere buone capacità relazionali e curare bene i rapporti”.

Ti manca l’Italia?
“Da buon romagnolo mi mancano la piadina e le tagliatelle (ride). Scherzi a parte, l’aria che si respira in Romagna è unica. In questi ultimi anni ho la fortuna di vivere la mia terra per le vacanze e posso assicurare che è bellissima. Anche se sono un romagnolo diverso, di origine sammarinese, sento molto bene lo spirito di questa terra e mi manca. Diverso è il discorso professionale. Da questo punto di vista l’Italia non mi manca. Ho trovato un lavoro gratificante e sto bene”.

Come si vive negli Emirati?
“È un posto sicuro, con pochissima criminalità. Ci sono tante regole e sono molto fiscali nell’applicarle. Ricevere una multa è una cosa all’ordine del giorno. Ci si deve abituare a questa modalità. Per il resto io sto molto bene. Gli Emirati non sono più come dieci anni fa. La crisi si è fatta sentire anche qui, ma i soldi continuano a girare. Il vero problema è il costo della vita, che è molto alto. Per farmi capire, se vuoi vivere una vita all’europea, dignitosa con qualche concessione ogni tanto, devi avere uno stipendio minimo di almeno 4, 5mila dollari, altrimenti non ce la fai. Anche per noi residenti è difficile mettere via molti risparmi, perché tutto ha un costo elevato. Poi, come dappertutto, ci si può arrangiare in mille modi. Gli immigrati hanno fatto la fortuna di questo paese: indiani, bengalesi e africani venuti qui a lavorare, condividendo appartamenti e mangiando il minimo indispensabile lo hanno reso ricco”.

Prima hai parlato dell’aria che si respira in Romagna. C’è qualcosa del tuo essere romagnolo che secondo te di ha aiutato nel tuo lavoro e nella tua vita ad Abu Dhabi e Dubai?
“Noi romagnoli siamo conosciuti per essere espansivi e per avere una buona parlantina, e penso che questa capacità di socializzare facilmente abbia fatto la differenza nei rapporti coi clienti. Diciamo che se riesci a trasformare quest’attitudine nella giusta professionalità nel gestire il rapporto umano hai fatto centro. Se riesci a creare anche quel filo di amicizia col partner, è più facile avere successo in questo lavoro”.