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45 anni fa la prima comunità

Giovani e droghe. A Rimini una “due giorni” sul tema delle dipendenze

Di dipendenze e di droga oggi si parla meno, ma non è un bene, perché di droga, droghe e dipendenze ce n’è davvero tanta. Due giorni di full immersion nel problema sono stati quelli proposti dalla comunità Papa Giovanni XXIII in un convegno, che ha colto l’occasione dei 45 anni dalla nascita della prima realtà di accoglienza per tossicodipendenti dell’associazione. Era il 1980, quando don Oreste propose ad una comunità perplessa di aprire questo nuovo fronte, dopo gli adolescenti, l’handicap fisico, le case famiglie, l’accoglienza dei bambini: “ Tranquilli fratellini con me c’è Marco Panzetti”. Poco dopo arrivò Francesco Merciari, che era obiettore in una comunità per tossicodipendenti di Ravenna, chiusa in quei giorni.

Rimini, non un luogo a caso

Di droga ce n’era tanta, ma Rimini fu in Italia fra le realtà che affrontò subito e con serietà il problema. Esistevano e si confrontavano già in quegli anni risposte e metodi diversi. C’era il Cmas (oggi Sert) e la comunità di Vallecchio, poi nascevano la comunità di San Patrignano e le comunità terapeutiche della Papa Giovanni. Rimini dunque è un luogo giusto per fare il punto sul problema oggi.

In una Sala Manzoni davvero piena di esperti nelle scienze umane, operatori, studenti e membri della comunità, per due giorni, con ritmi e qualità altissima, si sono vissuti momenti di riflessione profonda, non solo per gli addetti ai lavori, ma anche per chi vuole comprendere meglio fenomeni che disorientano: le dipendenze, oggi sempre più multiformi, sfuggenti, a volte, purtroppo, “normalizzate”.

Perché si parla così poco di cocaina e crack così diffuse fra i consumatori?

Spregiudicati nell’ascolto e nel giudizio

Ad aprire i lavori è stato Ugo Ceron, psicoterapeuta coordinatore del Convegno che, attraverso un video di don Oreste Benzi, ha ricordato l’invito del fondatore ad essere “spregiudicati” nell’ascolto del grido profondo dei giovani e nella ricerca di nuove vie di uscita dalle dipendenze.

E “spregiudicato” è stato Riccardo Gatti, psichiatra del Tavolo Dipendenze della Regione Lombardia, nel raccontare la diffusione delle sostanze. « I giornali, dal 1970, per cinquant’anni, hanno parlato di emergenza droghe – ha criticato Gatti diffondendo la cultura della paura». Ma non sempre si parlava delle «sostanze più diffuse, del perché venivano diffuse e perché i narcos erano anche un modello » nei film. « Oggi stiamo passando da una cultura postindustriale ad una cultura dell’interconnessione. Ma c’è un vuoto di valori. Ci sono meccanismi economici che amplificano la società dei consumi a basso costo.

Cosa si nasconde dietro al fatto che si parla poco della cocaina e del crack così diffuse tra i consumatori? ».

La denuncia dei giovani studenti

Gli hanno fatto eco studenti di Cesenatico sul palco con gli interrogativi elaborati nei lavori di gruppo con l’équipe prevenzione della Comunità di don Benzi e gli insegnanti: « Mentre prima si vendevano prodotti per rispondere a bisogni, oggi si creano bisogni per abituarci a comprare.

Perché lo Stato non ci protegge da questa capitalizzazione dei bisogni e commercializzazione dei consumi? Perché sfrutta la nostra sfera emotiva per il marketing a tutti i costi? ».

Viviamo in una società che spinge a desiderare sempre di più, ma educa sempre di meno

La cultura (adulta) dell’eccesso

Ancor più esplicito è Leopoldo Grosso, psicologo e già vicepresidente del Gruppo Abele, che ha messo in evidenza come il marketing, i social media e le logiche del consumo compulsivo alimentino una cultura dell’eccesso: « Viviamo in una società che spinge a desiderare sempre di più, ma educa sempre di meno». Ha sottolineato poi l’aumento del gioco d’azzardo denunciando gli alti profitti dei produttori: « C’è un’offerta a dismisura ».

Per questo non va sottovalutato « lo studio della creazione di abitudini tramite la tecnologia persuasiva ». Se l’abitudine esprime l’identità del soggetto, allora scatta l’omologazione passiva e chi ci guadagna avrà profitti assicurati. L’attuale cultura doomers, che fa della tristezza e dell’angoscia un fenomeno sociale come se il destino fosse avverso. Questo espone i giovani a lenitivi immediati di ogni tipo.

Servizi e comunità

Spazio davvero importante quello dedicato al dialogo tra le politiche dei territori e le comunità. Erano presenti, fra gli altri, Michele Sanza, direttore del Dipartimento Salute Mentale e dipendenze patologiche Forlì-Cesena, Kristian Gianfreda assessore al servizio sociale di Rimini, Teo Vignoli, direttore dell’Unità operativa dipendenze patologiche del territorio riminese, Alessio Saponaro, Responsabile Area Salute mentale, Dipendenze patologiche della Regione Emilia Romagna. Dopo tanti anni di pizzichi e rimbrotti Servizi e Comunità sembrano aver finalmente una linea comune, molto aperta al dialogo. È stato un operatore dei Servizi che ha parlato di “

Caricarsi della sofferenza della persona, di un ascolto attivo e non giudicante, di relazione d’amore e non solo di diagnostica, di uscire dalle mura dei servizi e fare rete per intercettare e rispondere ai bisogni”. Parole sante per le orecchie di chi opera in comunità…

Caricarsi della sofferenza della persona, di un ascolto attivo e non giudicante, di una relazione di amore e non solo diagnostica

Le conclusioni

Un convegno ricchissimo di spunti e riflessioni, che è difficile, impossibile, sintetizzare in una pagina.

Una “due giorni” forse anche troppo ricca, che meriterebbe di essere messa nelle sue diverse relazioni disponibile su Youtube per continuare un incontro e sollecitare nuove riflessioni.

Il coordinatore del convegno, Ugo Ceron, ha concluso richiamando che « dobbiamo passare, tra le tante e diverse figure in gioco, da un atteggiamento mentale di contrapposizione, ad un atteggiamento di cooperazione. Questo ha molto a che fare con la prevenzione universale. La contrapposizione produce incertezza e disaffezione rispetto al proprio contesto sociale. Quando incontriamo i giovani sentiamo un forte senso di smarrimento. Le frammentazioni sono fattori predisponenti alla ricerca di consolazioni. Dobbiamo cercare ciò che unisce piuttosto di ciò che ci divide.

Se faremo questo instilleremo nella nostra cultura l’idea che ce la si può fare ».

Riguardo al contrasto all’uso di sostanze Ceron rileva la necessità di fare una scelta di campo e decisa a favore della prevenzione, con politiche di medio e lungo raggio e non annuali o biennali come adesso avviene.

a cura di Giovanni Tonelli,
hanno collaborato Marco Scarmagnani e Irene Giambezi