Home Attualita Mio fratello muore in mare, in memoria della tragedia di Lampedusa

Mio fratello muore in mare, in memoria della tragedia di Lampedusa

Trecentosessantanove lumini sono stati accesi ieri sera sul sagrato della cattedrale di Rimini. Delineano il profilo di una barca. Come quelle che disegnano i bimbi. Vuole ricordare le vittime in mare. L’iniziativa, promossa dalla rete #Miofratellomuoreinmare e sostenuta da numerose associazioni del territorio, infatti, cade a dieci anni dalla tragedia del 3 ottobre 2013, in cui hanno trovato la morte 368 persone al largo dell’isola di Lampedusa. Erano 518 in totale i migranti africani ospitati dal natante che a un certo punto, molto vicino alla costa, iniziò ad imbarcare acqua. I lumini accesi ieri sera erano uno per tutte le vittime di quel tragico 3 ottobre e uno in più per ricordare tutti migranti morti lungo i confini, ha spiegato Alessandra Cetro di Mio fratello muore in mare.

Presenti il vescovo di Rimini Nicolò Anselmi e tre esponenti della giunta comunale di Rimini.

“Attraversare il Mediterraneo è diventato come attraversare il deserto”, ha spiegato Cetro. “Si rischia di finire nel nulla”. L’iniziativa, ha sottolineato Cetro nasce per “abbattere muri”e chiedere “politiche per il rispetto della vita e della persona umana. Sono nostri fratelli”.

Il vescovo Nicolò Vescovo ha ammesso di vivere “questo momento con un groppo in gola. Chiediamo al Signore di non dimenticare le difficoltà e le disuguaglianze che subiscono queste persone solo perché siamo presi dalle nostre cose, dai nostri problemi”. Nelle frenesia delle giornate di ognuno, può succedere che “chi soffre, condannato a fuggire dalla propria terra, non ci entri adeguatamente nella vita. Siamo presi da questioni importanti, ma forse non sono tanto importanti come la vita dei fratelli e delle sorelle che ricordiamo questa sera”. Infine, l’appello affinche queste tragedie ci riuniscano. Non stimolino in noi rabbia ma amore”.

A nome del sindaco è intervenuta l’assessora Francesca Mattei. “Nonostante l’impegno della nostra amministrazione – ha spiegato – c’è bisogno che l’appello arrivi a istituzioni più alte in grado di attuare politiche che tutelino i diritti di tutti”.

L’assessore Francesco Bragagni ha invece annunciato che a breve la commissione toponomastica del comune di Rimini si riunirà per intitolare un luogo della città, un’area verde, alle vittime del naufragio di Lampedusa. “Un luogo per coltivare la memoria del tragico evento di dieci anni fa, ma anche per sviluppare un senso civico rispetto a questi fatti”.

Kristian Gianfreda, assessore all protezione sociale, ha lanciato un appello affinché la comunità riminese sostenga l’amministrazione e la rete dell’accoglienza rispetto alla questione dei migranti minori non accompagnati. “Ne arriva uno ogni tre giorni”, ha spiegato l’assessore. “Il nostro lavoro è costruire territorio più giusto e comunità più coesa. Attualmente Rimini è sotto forte pressione per l’arrivo di questi minori. La situazione è situazione difficilissima, arrivano senza preavviso e noi non sappiamo come occuparci di loro. C’è bisogno del contributo di tutti”.

La serata è proseguita con l’accensione della lampada della pace di Taybeth e di tutti i lumini. Mentre ciò accadeva, Pierpaolo Paolizzi ha letto alcuni testi poetici composti in memoria delle vittime. Tra esse la donna che partorì proprio negli attimi del naufragio. Lei e il suo bambino furono trovati ancora uniti dal cordone ombelicale. Gli scout del gruppo Rimini 3 hanno raccontato la loro esperienza di accoglienza dei migranti quest’estate a Corinto e Atene. Infine, la lettura di una testimonianza degli operatori di Operazione Colomba, in servizio nel campo di Rizzona, conclusa con le parole di una poesia di Franco Arminio: “Sacro è toccarsi. / Qualunque essere umano / può morire se non lo tocchiamo”. E affinché ognuno nel pubblico potesse toccare la drammatica umanità del dramma ricordato, e lasciarsi toccare, a tutti è stato chiesto di raccogliere un lumino e portarlo con sé a casa.