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Vita da (non) sfollati

Tante le storie che aiutano a mettere in luce le condizioni dei riccionesi che, con un conflitto mondiale che aveva posto uno degli ultimi suoi fronti, la Linea Gotica, sulle strade della propria città, furono costretti a sfollare, lasciando casa per scappare da una guerra che ormai si trovava fuori dalla porta. Ma insieme a questo grande bacino di racconti ci sono anche quelli di chi, nonostante l’avvicinarsi del fronte, decise di rimanere in città, di non lasciare casa. E sono proprio le loro storie a raccontarci la quotidianità di una cittadina diventata linea di guerra.
Come quella di Luisa Piazzani, raccontata da Fosco Rocchetta nel libro Riccione sotto le bombe, Settembre 1944 (La Piazza), pubblicato nel 2014 per il 70esimo anniversario del passaggio del fronte.

Luisa e la quotidianità riccionese

In via Lamarmora 4, vicini di casa con la famiglia Del Bianco (il cui racconto degli stessi mesi è riportato nella pagina precedente) andarono ad abitare Anna, Luisa, Mimmo e Gigi. Si trasferirono in questa strada stretta, fiancheggiata da alberi, stabilendosi in quella che Mimmo chiamò the red house, la casa rossa, perché pitturata con quel colore sulle mura esterne.

Una piccola villa unifamiliare, piuttosto spaziosa, dotata di giardino, autorimessa e cantina. Cantina che era molto importante: proprio lì, infatti, costruirono una falsa parete, dietro la quale poter nascondere scatole di alimenti, per ogni eventualità.

In quel periodo (1943-44) Luisa trovò lavoro in un’agenzia di assicurazioni milanese, che aveva trasferito gli uffici proprio a Riccione, per paura che Milano potesse essere bombardata. Andava bene: era impiegata nella nuova sezione commerciale e fu in grado di elevare le quotazioni delle polizze. Lavorava nello stesso ufficio di un giovane che era interessato a lei, e che tutti i giorni la accompagnava a lavoro portandola sulla canna della propria bicicletta. Ma, a quel tempo, il bello non durava per molto.

La relazione finì e l’impresa tornò a Milano, evidentemente scongiurato il pericolo di un attacco aereo, lasciando Luisa senza lavoro. In quei mesi le truppe tedesche stavano cercando donne disoccupate per “intrattenere” le truppe germaniche negli alberghi sul litorale, e Luisa dovette cercare un altro impiego al più presto, per evitare quel triste destino. Lo trovò all’ufficio postale grazie a Mimmo, che era diventato amico del direttore, il signor Tommaso Romano. La paura della gente si traduceva in forte tensione e nervosismo: molto spesso Luisa fu indotta alle lacrime, quando le lunghe file di persone che si recavano alle poste per la pensione, non potendo ricevere il denaro non inviato da Roma, protestavano ferocemente.

Ma non c’era solo la paura. C’era anche la fame. Era proprio Luisa la persona della famiglia incaricata ad andare a prendere le razioni di carne dal macellaio, perché era molto graziosa di aspetto, e questo faceva sperare nell’ottenimento di porzioni aggiuntive.

Ma, nonostante il razionamento, non c’era abbastanza cibo da distribuire a tutte le persone della città. Il cibo divenne progressivamente sempre più difficile da trovare, e per questo la famiglia di Luisa allevava galline in giardino. Inoltre, in passato, Luisa aveva seguito un corso di sartoria, e questo le si rivelò utile. La guerra, infatti, aveva reso le fabbriche inutilizzabili, e questo la portò a scucire vestiti per poter realizzare ciò di cui poteva aver bisogno lei o la propria famiglia: girare i cappotti per poterli utilizzare più a lungo, oppure trasformare corde di vario tipo in cinture.

La piccola avventura di Gigi

Nel frattempo i tedeschi continuavano a cercare forza lavoro, di certo non con le buone. Gigi, il cugino di Luisa, fu costretto a lavorare per le truppe germaniche e gli fu imposto di mettere a disposizione anche i propri attrezzi e tutto il banco da lavoro.

Nel 1943 la Germania aveva un disperato bisogno di attrezzature e di risorse, e Gigi venne a sapere che, tra le tante, anche le proprie stavano per essere portate a Berlino, fatto che riteneva assolutamente inaccettabile. Senza gli attrezzi non poteva lavorare e di conseguenza si convinse, con forte determinazione, di impedire che i tedeschi li avessero e li portassero via.

Portò, in gran segreto, tutti i suoi attrezzi a casa, lasciando solo il tavolo da lavoro. Tavolo a cui non rinunciò davvero: aspettò solamente che fosse caricato su un treno per essere portato in Germania e, grazie all’aiuto di Luisa, alle 2 di notte si recò alla stazione per recuperarlo di nascosto.

Il treno era fermo sui binari, con guardie su entrambi i lati. Gigi riuscì a sgattaiolare a bordo e cominciò a trascinare il suo banco fino alla porta, per poi passarlo a Luisa, pronta a prenderlo rimanendo all’esterno del treno. Incredibilmente nessuna guardia si accorse dell’accaduto, e così Gigi e Luisa poterono trasportare il tavolo per circa mezzo chilometro in direzione di casa, per poi metterlo nel garage, nascondendolo sotto panni e coperte.

Una vicenda che è una piccola, e grande, Resistenza.