Home Attualita “Rimini, fatti due miracoli. Per il terzo serve la città”

“Rimini, fatti due miracoli. Per il terzo serve la città”

È  il grande artefice di questo ritorno immediato del Rimini tra i professionisti. In sole due stagioni è stato capace di ridare lustro, ma soprattutto credibilità, al pallone biancorosso. Uomo di poche parole, ma di una straordinaria cultura, Giorgio Grassi è una specie di Re Mida. Qualsiasi cosa tocchi, riesce a trasformarla in oro. Sul lavoro e nello sport. Trae aspirazione dai miti greci che spesso lo guidano durante i suoi colloqui. Uomo franco, non vuole tanta acqua nel vino, preferisce la concretezza. Da quando ha deciso di scendere a Rimini dalla sua Coriano, ha un pallino in testa: cambiare il mondo del pallone. Del resto lo slogan coniato è già il suo manifesto: «Un altro calcio è possibile». Ma in questi due anni si è accorto che il progetto potrebbe restare un’utopia. Una splendida utopia. Troppi problemi, troppe polemiche, troppi ostacoli. Lo raggiungiamo al telefono. Naturalmente fisso. Perché il cellulare non fa per lui.

Allora, presidente: dormito bene in questi giorni?
“Sì e no. Nel senso che la grande gioia per la promozione ha già lasciato spazio alle preoccupazioni per la prossima stagione”.

Scusi?
“Ha presente il mito di Sisifo? Fu condannato a trascinare un enorme masso lungo un ripido pendio di una collina per farlo rotolare dall’altra parte ma, una volta giunto in prossimità della cima, il masso, come spinto da una forza divina, rotolò nuovamente a valle e Sisifo fu costretto a ricominciare da capo. Ecco, mi sento come lui. Ho portato il Rimini in vetta alla cima, ma adesso ricomincio da zero. Io come tutti gli altri protagonisti di questa straordinaria promozione”.

A proposito, avete 11 punti di vantaggio a tre giornate dalla fine, ma non è stata una passeggiata. Anzi, è stata una stagione piene di polemiche.
“Rimini è una città strana quando si parla di calcio. Le critiche le digerisco e fanno parte del gioco. Ma quando sono in malafede o quando si parla solo per preconcetti, allora non mi piace. Già in estate dopo la nostra volontà di non rinnovare il contratto a Mastronicola si era alzato un polverone che si è accentuato quando abbiamo affidato la guida tecnica a Simone Muccioli. Era giovane, ma soprattutto era di Cesena. Poi fortunatamente le parole hanno lasciato spazio al gioco. A dicembre, però, siamo stati costretti a prendere una decisione che personalmente mi ha fatto male, ossia sollevare Muccioli dalla guida tecnica. Quello è stato forse l’unico momento dove ho tentennato un attimo. Come ha scritto bene la stampa: non avevamo più scuse, dovevamo solo vincere. Ma la scelta, come dimostrano i numeri, si è rivelata giusta”.

Dica la verità, si aspettava in due anni questo doppio salto?
“Nel calcio non si è mai sicuri di nulla, diciamo che sapevamo di aver fatto il massimo. Credo di poter dire con assoluta tranquillità che abbiamo fatto due miracoli sportivi. Ora, però, siamo davanti alla necessità di un terzo miracolo: l’interessamento e il coinvolgimento della città. Il Rimini non è di Giorgio Grassi, il Rimini è di tutti. Dal piccolo tifoso al grande imprenditore. Il tempo dei mecenati è terminato, ora serve l’aiuto e l’apporto di tutti. E questo sia non chiaro, ma chiarissimo”.

Presidente, ha letto le parole del sindaco Gnassi sullo stadio?
“Sì e mi hanno fatto piacere perché anche l’Amministrazione è un pezzo del grande puzzle che dobbiamo completare. Mi rifaccio ai romani. Rimini aveva un grande anfiteatro che durante i giochi richiamava sulle sue tribune migliaia e migliaia di persone che venivano da tutte le parti. Per l’epoca era una struttura all’avanguardia. Ecco, lo stadio deve essere il nostro anfiteatro. Confortevole, ospitale, capace di attirare le famiglie. Mi auguro che dopo i grandi cantieri per l’arte che sicuramente trasformeranno Rimini, adesso si pensi anche all’aspetto sportivo ed educativo, migliorando le strutture”.

I problemi, insomma, non sono pochi. Ma si è mai chiesto in questi due anni, dopo i tanti attacchi subìti e che ancora a volte tornano a galla, chi glielo abbia fatto fare?
“Personalmente no, ci pensa, però, la mia famiglia (ride, ndr). Battute a parte, diciamo che i meccanismi di gestione di un gruppo all’interno di un’azienda non si scostano di molto da quelli di un gruppo sportivo. Questa è una cosa che mi affascina molto. E ho scoperto che le tensioni, i sentimenti, le emozioni degli uomini sono spesso simili: sia che si tratti di una finale di Coppa di Terza categoria, sia che si tratti di una partita fondamentale per la promozione”.

Presidente, un’ultima cosa: crede ancora che un calcio diverso sia possibile?
“Certamente”.
Francesco Barone