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Non abbandonarci alla tentazione

Continua, anche se lentamente, il cammino della Chiesa per avvicinare la liturgia al linguaggio della vita. La settimana scorsa i Vescovi italiani si sono ritrovati in assemblea: approvata la traduzione italiana del nuovo Messale. La liturgia, hanno evidenziato i Vescovi, coinvolge l’intera assemblea nell’atto di rivolgersi al Signore: “Richiede un’arte celebrativa capace di far emergere il valore sacramentale della Parola di Dio, attingere e alimentare il senso della comunità, promuovendo anche la realtà dei ministeri. Tutta la vita, con i suoi linguaggi, è coinvolta nell’incontro con il Mistero: in modo particolare, si suggerisce di curare la qualità del canto e della musica per le liturgie”.

Giornali e tv di questo rinnovamento hanno ricordato solo che ci sarà la nuova versione del Padre nostro (“non abbandonarci alla tentazione” invece di “non ci indurre in tentazione”) e dell’inizio del Gloria (“pace in terra agli uomini amati dal Signore”). L’uso liturgico, dopo anni, si allinea alla traduzione più corretta e comprensibile nel senso, già in vigore nel testo ufficiale della Cei, ma non entrata ancora nella liturgia e quindi nell’uso comune. È stato Papa Francesco in una sua catechesi a rilevare questa incongruenza, comune ad altre Chiese europee.

Del resto mai può essere attribuita a Dio l’azione del ‘tentare’ l’uomo: ciò sarebbe contraddittorio con la sua natura di Padre benevolo, che Gesù ci ha rivelato. Dio non può essere tentato al male ed egli non tenta nessuno. Ciascuno piuttosto è tentato dalle proprie passioni, che lo attraggono e lo seducono; poi le passioni concepiscono e generano il peccato, e il peccato, una volta commesso, produce la morte. Dio può, al limite, metterci alla prova, non certo “indurci in tentazione”.

Non c’è alcun cambiamento nel messaggio evangelico, come paventano alcuni, quanto il tentativo di essere, al massimo, fedeli a quello che Gesù ha detto, senza dimenticare sempre che Gesù non parlava in italiano e neppure in latino ma in aramaico, e gli evangelisti hanno scritto in greco.
Ogni testo che leggiamo o proclamiamo nella liturgia è frutto di un lungo lavoro di comprensione e approfondimento che la Chiesa da sempre (si pensi a San Girolamo che tradusse la Bibbia dal greco e dall’ebraico in latino!) compie e continua a fare, anche attraverso lo studio delle lingue antiche, della cultura di quei popoli, del cammino della conoscenza. Non si tratta dunque di novità, ma di fedeltà alla Parola. Il Papa, i Vescovi, la Chiesa tutta, sono garanti di questo cammino.