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Noi, giovani startupper con un percorso tutto in salita

Parola ai giovani startupper. Numeri e analisi possono certamente illustrare in modo chiaro lo spaccato delle giovani generazioni di oggi che “si buttano” nel mondo delle startup. Ma la testimonianza diretta rimane, con tutta probabilità, lo strumento più completo ed esaustivo per conoscerne i motivi, le idee, le difficoltà incontrate. Cosa vuol dire, dunque, per un giovane aprire una start up nell’Italia di oggi? Lo abbiamo chiesto a Mattia Raffaelli, riccionese, 24 anni, fondatore di RoomMate (app che permette di gestire la convivenza per gli studenti o lavoratori che hanno coinquilini) ed Eugenio Giovanardi, 35enne riminese, la cui ultima fatica è Emotion Bike, servizio di noleggio biciclette a pedalata assistita, accompagnato da tour guidati alla scoperta della cultura e dei luoghi del nostro territorio.

Mattia, come nasce la volontà di fare impresa?

“Parlando personalmente, nasce dal mettersi di fronte a un semplice quesito: che vantaggi mi porta se lo faccio, se mi metto in gioco? La domanda decisiva, però, è stata quella contraria: che svantaggi ho se invece non lo faccio? Fondare RoomMate durante il mio percorso di studi mi ha permesso di avere la flessibilità di essere uno studente, accoppiata all’energia di un giovane imprenditore. È stato proprio un mettersi in gioco completamente, un mix che ha funzionato”.

Mettersi in gioco. E per te Eugenio, che sei giovane ma appartieni a un’altra fascia d’età?

“Sicuramente c’è un senso di pieno inappagamento nel lavorare come dipendente o collaboratore per progetti altrui, e questo ha da sempre caratterizzato le mie esperienze lavorative precedenti. Volontà di fare impresa significa creare un progetto, il proprio progetto. Quindi in realtà sì, è un lavoro, ma è anche mettere in pratica una passione. Significa mettersi in gioco, ma anche lavorare duro per creare un’idea e perseguirla per renderla concreta. E se riesce è una soddisfazione unica”.

Mattia, quali sono le difficoltà maggiori che hai incontrato nel tuo percorso da startupper?

“La difficoltà più grande è stata sicuramente l’inesperienza. Tuttavia, posso dire con certezza che nei due anni dalla fondazione di RoomMate ho incontrato talmente tante persone di valore da essere contento di aver imparato sul campo, e di aver imparato tanto. Va però detto che viviamo in un ecosistema italiano che solo oggi sta muovendo i primi passi per dar modo ai giovani di lavorare nel campo dell’imprenditorialità. Sono da poco nati incubatori, universitari e non, che stanno cercando di porre un freno a questa emorragia”.

Quali, invece, le difficoltà tecniche, Eugenio?

“La creazione di una startup è un lungo percorso in salita: servono soldi, quindi il primo punto è capire se indebitarsi con le banche o finanziare autonomamente il progetto. Ma la cosa ancora più difficile e delicata è trovare le risorse umane che possano cooperare nello sviluppo del progetto. E dico ‘cooperare’, perché all’inizio è difficile trovare le figure adatte, se si vuole costruire un qualcosa di nuovo dal nulla senza fondi e senza la possibilità di garantire uno stipendio. Devono essere persone che riescano a credere al progetto nel tuo stesso modo, e non è facile. La burocrazia, inoltre, non aiuta. Non siamo nella Silicon Valley o a Tel Aviv, realtà in cui ci sono centinaia di milioni di dollari di finanziatori pronti ad aiutare idee brillanti che hanno bisogno di una base economica. Ovviamente, infine, lo sviluppo di una startup cresce anche con la pubblicità e il marketing, e si ritorna allo stesso problema: il budget. Sostanzialmente, quindi, è un cane che si morde la coda”.

Eugenio, in conclusione: che giudizio puoi dare sulla situazione del fare impresa in Italia per i giovani oggi?

“Sinceramente, piuttosto difficile. Le partite Iva o le Srl stanno vivendo momenti molto duri. Alcuni settori sono fortemente penalizzati, soprattutto quelli legati ai servizi. Possibili soluzioni? Ci sono fondi da parte dell’Europa o a livello regionale, ma un vero problema è che non ci sono neanche le strutture informative che avvisino le imprese dei bandi. E senza informazioni le imprese rischiano di essere lasciate sole”.