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Balliamo fino in Kazakistan

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Romagna capitale, Romagna superstar, cantava il re del liscio Roul Casadei. Ora che le redini dell’orchestra romagnola più nota al mondo le ha prese il figlio Mirko, il cui compito – come racconta lui stesso – è quello di “dare una svecchiata” alla musica popolare di Romagna, il ritmo della fisarmonica, del sassofono e del clarinetto ha trovato estimatori dall’America Latina all’Asia. “Ho avuto la fortuna di ereditare il timone dell’Orchestra Casadei, ovvero la chitarra – spiega il figlio d’arte – dopo mio nonno Secondo, il fondatore, e mio padre Roul, e la prima cosa che ho fatto è stato portare la nostra musica fuori dai confini nazionali. Mio padre mi ha detto vai! Abbiamo fatto tour meravigliosi in Australia, Brasile, Argentina, Cuba, Canada. Perfino in Kazakistan. Siamo stati in tutto il mondo e ovunque la tradizione romagnola è conosciuta”.

Come si spiega questa diffusione? Perché la melodia romagnola coinvolge anche i non autoctoni?
“È una musica divertente, popolare, che è sempre di moda perché non è mai veramente di moda. E questo la rende attuale in ogni epoca e in ogni contesto. Nel liscio c’è il contatto fisico dell’abbraccio che porta alla voglia di stare assieme e di ballare. Le canzoni della famiglia Casadei sono nate in spiaggia tra Bellaria-Igea Marina, Rimini, Cesenatico, Gatteo (io e Roul le abbiamo scritte quasi tutte guardando il nostro mare con i piedi nella sabbia), ma si proiettano verso il mondo”.

E la Romagna non si è ancora stancata della sua musica.
Romagnia mia, Ciao mare, Romagna sangiovese fanno parte del DNA della gente. La musica popolare ha la forza di entrare nel cuore delle persone. Ho una nipotina di 3 anni che già canta Ciao mare. Il segreto di questa musica sta nella semplicità delle sue canzoni. La band Ridillo (gruppo funk-soul italiano, formatosi tra le province di Reggio Emilia e Mantova) in un loro brano hanno cantato: «da piccolo in macchina coi miei sentivo un misto tra la disco e Casadei». Il liscio è un’entità forte come la disco-music e il suo sentimento è arrivato anche a coloro che non lo amano”.

Secondo lei, la tradizione folk romagnola è minacciata dalle nuove generazioni?
“In Romagna sono stato additato da alcuni come quello che vuole portare troppa innovazione alla nostra musica. Io credo invece di aver preso la direzione giusta che ho intrapreso suonando con grandi musicisti internazionali come Goran Bregovich, il quale mi ha insegnato che la musica non può stare impolverata in un museo. La musica tradizionale c’è e rimane, ma è anche bello contaminarla e far sì che si possa proiettare verso le nuove generazioni. E mi sono accorto che adesso è il momento giusto”.

Come mai?
“Anche i giovani hanno l’orgoglio romagnolo e in questo mondo globalizzato sentono sempre di più l’appartenenza alla loro terra di origine. Quando tutto lo stadio di Cesena durante le partite intona Romagna sangiovese, capisci che si tratta di una musica in grado di mettere assieme le generazioni”.

Mirco Paganelli