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Chernobyl – Yuri, la vita oltre la nube

CHERNOBYL

Occhi azzurri, capelli biondi, sorriso contagioso. Yuri ha quasi 15 anni e frequenta la terza media alle “Panzini” di Bellaria. Dopo diversi periodi di “iscrizioni temporanee” concordate col preside, Carmelo Vita, per favorire una possibile futura integrazione scolastica, dal 2014 il ragazzo non è più un ospite temporaneo del progetto di accoglienza rivolto ai piccoli bielorussi, ma è un romagnolo a tutti gli effetti.
La coppia di Igea Marina che lo aveva accolto quando aveva 7 anni, Marinella e Cesare, gli ha fatto due regali: prima tanto affetto e, ora, anche l’adozione. Con la sua cameretta, la sua casa, i cani con cui giocare in giardino e, soprattutto, una famiglia che vive per lui. Yuri è stato battezzato, cresimato e comunicato da don Enzo, nella parrocchia di Bordonchio. Ha due padri spirituali: Padre Emanuele, di origine congolese, collaboratore alla parrocchia di Bordonchio, e don Aldo di Viserba Mare, dove i genitori gestiscono un albergo.
“Il percorso per l’adozione è stato molto doloroso e difficile. – spiega mamma Marinella – Una via crucis tra disposizioni legislative di tre Stati diversi: Italia, Bielorussia e San Marino essendo mio marito cittadino della Repubblica. Dopo un primo ok, poi revocato, ci siamo trovati in una giungla burocratica da cui sembrava non ne venissimo più fuori, visto che il governo bielorusso ha rapporti in materia di adozione con l’Italia e non con il Titano. Ma non c’era tempo da perdere: Yuri sapeva che prima dell’estate sarebbe stato adottato, che avrebbe lasciato per sempre il triste orfanotrofio di Pinsk. Come avremmo fatto a spiegargli che forse non sarebbe più venuto a casa? Come dire a un bambino che i suoi amici avrebbero avuto una famiglia e lui no, solo per una questione di cittadinanza? Poi le cose si sono sbloccate, grazie soprattutto ai nostri angeli, funzionari sensibili e disponibili che ci hanno aiutato: il Governo sammarinese nella persona del Ministro degli Esteri Valentini; Sylvie Bollini del Centro Minori; Silvia Della Monica, presidente della CAI (Commissione Adozioni Internazionali) di Roma e il dottor Giuseppe Spadaro, presidente del Tribunale Minori di Bologna”.
Non basterebbero pagine intere per descrivere l’emozione che trapela dal racconto di questa mamma, scopertasi tale senza averlo mai programmato.
“L’idea di diventare genitori non era nei nostri progetti. Nel 2008, come volontaria venni a contatto con un’associazione onlus che ci chiese di trasportare gratuitamente dei bambini ammalati, provenienti dalla zona di Chernobyl, a fare delle visite all’ospedale di Rimini. Essendo estate, e non potendo partecipare a questa attività per l’impegno in albergo, pensai di rendermi utile offrendo la disponibilità ad ospitare due di questi bambini provenienti dagli «internat», gli orfanotrofi bielorussi. Uno di loro era Yuri. Capelli d’oro, occhi azzurri, 7 anni, impaurito, abbandonato, viveva in un istituto dove il più forte sopravvive, dove non ti puoi permettere di piangere perché nessuno asciuga le tue lacrime. Difficile non innamorarsi. Sconosciuta e inimmaginabile la magia che un bambino trasmette. Lontanissima, comunque, l’idea che un giorno avremmo lottato per tenerlo sempre con noi”.
Dopo pochi mesi dalla partenza del primo soggiorno italiano, la maestra dell’istituto avvisa Marinella e Cesare che la mamma di Yuri era morta (il papà è scomparso quando Yuri aveva 11 anni).
“Sono riuscita ad avere due lettere che questa mamma aveva scritto al suo bambino: una ragazza dolcissima, che lo amava tantissimo. Io a questa mamma ho fatto una promessa: lo crescerò e lo proteggerò con lo stesso amore. Fu lui a chiederlo, una notte prima di dormire: «mamma perché non mi tieni sempre con te, che io sono solo?». Aveva 8 anni. Di lì è iniziato l’iter per poterlo adottare”.
Oggi Yuri è ben integrato, socievole con tutti, molto esuberante, gioioso, amante della libertà che non ha mai avuto.
“La nostra difficoltà è confrontarsi ora con la sua adolescenza. Dietro ogni bambino che ha vissuto in un «internat» c’è una storia di sofferenza, di carezze e baci negati. Dieci anni vissuti senza sogni. Bambini che non hanno mai avuto niente e che non chiedono niente, bambini già adulti da una parte e piccolissimi e fragili dall’altra. Un mondo per noi sconosciuto, dove c’è tanto lavoro, dove ogni giorno dobbiamo ricominciare. Smussiamo gli angoli e li ricostruiamo in nome della famiglia, quel bellissimo dono che Dio ha voluto per noi. Un genitore che ha un figlio suo fin da piccolo lo cresce e scrive su di un libro in bianco. Noi ci siamo trovati con pagine già scritte, dove non ci sono colori, ma solo bianco o nero. Difficile spiegare ciò che hanno passato questi bambini! La nostra vita è molto cambiata, ma se ci giriamo indietro vediamo una piccola stradina che profuma di amore. Spesso mi fermo a guardare quel ragazzo di un metro e ottanta che ora è mio figlio e mi commuovo davanti a tanta bellezza. E ringrazio la sua bella mamma che me lo ha donato. Ma soprattutto ringrazio Dio per questa meravigliosa avventura”.

Maria Cristina Muccioli