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Il web non dimentica…

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Più casi non fanno un sistema. Questo è certo. È certo che i casi di violenza sulle donne che in questi giorni hanno rapito l’attenzione dei media e del vocio del web non sono i primi e purtroppo non saranno gli ultimi. Nonostante l’“ovvio”, tutti ci siamo accorti che c’è qualcosa che non funziona. Uno dei casi, in particolare, ci riguarda da vicino. La protagonista è una ragazza di 17 anni, originaria di Santarcangelo, ripresa con il cellulare da un gruppo di amiche mentre – nel bagno di una discoteca – era coinvolta in un atto sessuale, in pieno stato di incoscienza dovuto all’abuso di alcol.
Il video mostra l’incapacità di intendere e di volere della ragazza che non viene mai ripresa in volto; chi lo ha visto ha parlato di una bambola di pezza abbandonata sul water. Le amiche, tra risolini adolescenziali, hanno posizionato il cellulare sopra la porta e ripreso quello che stava accadendo. Purtroppo – e dico purtroppo – il fatto dell’abuso su una ragazza incosciente non ha destato tanto clamore. Da che mondo è mondo le donne vengono abusate, ma questa è una storia di maleducazione sessuale e sentimentale. Ciò che ha fatto più scalpore è stato, invece, l’atteggiamento delle amiche e il senso di incoscienza nell’essere complici di un atto gravissimo.
La macchina giudiziaria è già in movimento (l’inchiesta è stata affidata a Davide Ercolani). Dopo la denuncia fatta dalla ragazza e dai genitori, gli inquirenti hanno preso in visione la prova principe, individuato l’identità del ragazzo coinvolto (poco più che ventenne), parlato con le amiche che hanno ripreso la scena. Naturalmente ancora i fatti sono tutti da definire e verificare e ad ogni passo dell’indagine si aggiungono elementi che – si spera – porteranno a fare luce, definitivamente, sull’accaduto.

Protagonisti di cosa?
Poi c’è la storia di Tiziana, la donna poco più che trentenne che – per diverse responsabilità, che in questo contesto non ci interessa attribuire a nessuno – è diventata protagonista di una gogna social mediatica, per un video che la coinvolgeva in atti sessuali. Una battaglia legale e anni di sofferenza non sono bastati a sistemare la cosa. Il web non dimentica e Tiziana ha voluto mettere a tacere tutto, cancellare tutti i commenti delle persone che l’hanno giudicata una poco di buono, tutti gli sfottò e le derisioni togliendosi la vita. In questa storia sono stati i commenti degli altri, anche di altre donne, a distruggere la sua immagine. Abbiamo superato il terreno de “Si sa che la gente dà buoni consigli se non può più dare cattivo esempio” di deandreiana memoria. In che terreno siamo, allora?

La questione legata alla realizzazione del video girato nei bagni della discoteca di Rimini e alla sua circolazione rimane incomprensibile. Come è potuto accadere? Com’è accaduto che un gruppo di amiche abbia trasformato la percezione di un pericolo in un gioco? E, com’è possibile, poi, che un video intimo che diventa pubblico si trasformi nel pretesto per riversare rabbia, pregiudizi e ferocia – sottoforma di commenti – annullando qualsiasi forma di empatia umana?
Lo abbiamo chiesto al professore emerito Andrea Canevaro, che all’Università di Bologna (sede di Rimini) insegna Pedagogia Speciale.

Professor Canevaro, che lettura possiamo dare al fatto di cronaca che ha coinvolto la giovane ragazza riminese?
“Questa è l’immagine di una generazione che non capisce, che non ha coscienza delle conseguenze dei suoi atti. Ma non è colpa loro, stiamo raccogliendo quello che abbiamo seminato”.

A cosa si riferisce?
“Un giovane vive nello stesso contesto in cui vivono degli adulti che hanno atteggiamenti violenti. Che non riescono a controllare i loro impulsi oltre l’istante, che cercano di far colpo sul momento senza pensare al dopo. Questo è un mondo comune dove stiamo tutti e non possiamo imputare solo ai giovani un’erronea reazione”.

Il caso di Rimini?
“Il caso che ha coinvolto questa ragazza è stato molto antipatico. Gli adulti possono farsi l’idea che ci sia una generazione intera che non pensa alle conseguenze delle sue azioni. Ma non è così. Questa è, infatti, una posizione miope. Stiamo raccogliendo ciò che abbiamo seminato: comportamenti violenti e deviati”.

Per cui lei ritiene non sia una questione generazionale…
“No, non è una questione generazionale ma l’incapacità di controllarsi che interessa tutti”.

Tornando al caso di cronaca. Molto scalpore ha fatto il gesto delle amiche della vittima, che hanno realizzato quel video…
“Le questioni sono diverse. In primo luogo il linguaggio volgare e violento nei confronti delle donne permette ad altri di sentirsi nel diritto di agire in modo altrettanto violento. C’è poi il particolare delle amiche che con il loro atto diventano complici attive. Il passaggio sul web è l’esaltazione della potenza, l’ubriacatura della finta libertà”.

È noto che ci troviamo di fronte ad una generazione tecnologicamente avanti. Ai genitori basta conoscere gli strumenti del web? Oppure c’è un errore educativo di fondo?
“C’è un solo errore: l’ossessione del controllo. Il controllo, infatti, porta ad atteggiamenti simili seppur speculari. Dobbiamo dare un esempio propositivo, lavorare insieme. Le faccio un esempio: lavoro ad un progetto di comunicazione in una scuola del ravennate. Tra le varie cose è venuto fuori che i ragazzi vorrebbero intervistare Alex Zanardi. Ci siamo detti che l’operazione è possibile, che si può fare grazie ai social, a skype. Ma che ci sono dei tempi che vanno oltre l’immediato e il virus della fretta. Ecco questo è un modo per far vedere un web costruttivo, che va oltre l’immagine e la pubblicazione veloce. C’è dietro una progettualità che mostra come questo mezzo sia in primo luogo una risorsa utile”.

Non è colpa del mezzo, quindi…
“I mezzi sono innocenti. La sedia di casa mia è innocente ma se lei viene a trovarmi e io gliela sbatto in testa perde la sua innocenza. Uguale con i media: nascono innocenti, come tutti gli strumenti”.

Angela De Rubeis