Home Attualita Voglio andare a vivere in campagna…

Voglio andare a vivere in campagna…

Braccia rubate all’agricoltura, si dice. Una frase di scherno solitamente usata per i giovani, troppo spesso considerati come scansafatiche, come bamboccioni, come viziati che non si impegnano a costruirsi un futuro. Ironia della sorte, questa frase col passare degli anni si fa sempre più obsoleta e fuori luogo: sono infatti  in aumento i giovani che quel futuro decidono di costruirselo scegliendo proprio l’agricoltura. Secondo Coldiretti, nel 2016, i ragazzi italiani under 35 che hanno deciso di intraprendere un’attività agricola sono aumentati del 12%. Un fenomeno senza genere: in aumento sia i ragazzi (+16%), sia le ragazze (+5%). Un trend che, inoltre, sfata il mito dell’agricoltura come scelta di chi non può studiare: più della metà dei giovani agricoltori sono laureati (57%).
Tradotto: una nuova generazione di contadini, allevatori e pastori sta arrivando, alla faccia dei bamboccioni.
Ma perché proprio l’agricoltura, un mondo da cui la generazione precedente ha faticato tanto per allontanarsi? I motivi possono essere molteplici. C’è chi la strada dell’agricoltura l’ha sempre sentita come propria, come un sogno da realizzare fin da bambino. O chi avverte una forte esigenza di concretezza, dopo anni in cui l’economia si è focalizzata sulla speculazione finanziaria, scienza oscura e incomprensibile ai più. O anche chi è vittima della scarsità di occupazione in altri settori, che vede nell’agricoltura l’ultima (o unica) speranza. Un mosaico di storie che dà lo stesso risultato: “giovani e agricoltura” è il binomio del futuro, nel nostro Paese.

Rimini non è da meno
Un fenomeno, quello dei tanti giovani italiani che si avvicinano al mondo dell’agricoltura, che si vede rappresentato alla perfezione anche nel territorio di Rimini. Lo dimostrano le numerose domande presentate dagli agricoltori del riminese per avere accesso ai finanziamenti europei del Piano di Sviluppo Rurale 2014-2020, “Pacchetto Giovani”: sulle 19 richieste effettuate, ben 11 arrivano da giovani imprenditori agricoli (under 35) residenti nella provincia di Rimini, nello specifico nei sette comuni dell’Alta Valmarecchia (Casteldelci, Maiolo, Novafeltria, Pennabilli, San Leo, Sant’Agata Feltria, e Talamello). Finanziamenti importanti: oltre ad un contributo di 50mila euro per i giovani che si insediano per la prima volta, il Piano europeo prevede un sostegno del 50% su tutte le altre spese sostenute per il miglioramento e l’innovazione delle proprie aziende agricole. E non è tutto. Lo stesso Piano di Sviluppo prevede bandi per contributi da investire nell’acquisto di macchinari o nella manutenzione, ad esempio di stalle e fienili. Sono stati ben sette gli imprenditori, sempre dell’Alta Valmarecchia, che hanno potuto usufruire di questi aiuti, che hanno permesso investimenti superiori al milione di euro.

Regione in soccorso
E per coloro che restano fuori, non tutto è perduto. Le aziende che, a livello regionale, si trovavano in graduatoria per il bando europeo, ma che non hanno ricevuto contributi per mancanza di fondi, potranno comunque essere beneficiarie di finanziamenti grazie allo stanziamento, da parte della Regione Emilia-Romagna, di fondi per l’ammontare di circa 28mila euro. 300 le aziende agricole che si trovano in questa situazione e che riceveranno gli aiuti regionali, tra le quali anche imprese della Valmarecchia. Con l’auspicio che tutto ciò possa rappresentare un forte traino economico per la Valmarecchia e per tutto il territorio riminese.

175541~1Il campo? Non è  tutto rose e fiori

Laura Castellani ha 29 anni, è laureata in Sociologia e per qualche anno ha lavorato come educatrice a Bologna, dove viveva con Marco, il suo compagno. Il costante precariato e l’impossibilità di immaginare un futuro solido la portano alla scelta di lasciare tutto per puntare sulla sua passione, coltivare l’orto. Si trasferisce con Marco a Sant’Andrea in Casale, alle porte di San Clemente, dove ha un fondo, e comincia la sua avventura, raccontata nel blog Dalla parte del cavolo. Ma non è tutto rose e fiori, come spesso si racconta quando si parla di vita agricola.

Cosa vi ha spinto verso l’agricoltura?
“Non è stato un episodio in particolare, ma una serie di circostanze, conoscenze, stimoli e riflessioni che hanno persuaso me e Marco, il mio compagno, a lasciare la città in cui avevamo iniziato a lavorare come educatori sociali dopo gli studi di Sociologia: Bologna. Proprio Bologna ci ha spinti a scegliere il lavoro agricolo”.
Perché?
“Le condizioni di lavoro precarie, l’esperienza della coltivazione di un piccolo orto nel bolognese, il nostro attivismo nel movimento per l’acqua pubblica sono state solo alcune delle ragioni che ci hanno convinti”.

In cosa consiste la vostra attività?
“Ormai da 3 anni coltiviamo esclusivamente con metodo biologico. Produciamo principalmente ortaggi, ma negli anni ci siamo occupati di terreni in stato di abbandono, dove abbiamo trovato anche alberi da frutto, vigne e olivi. Ci prendiamo cura della terra e dei suoi abitanti a 360 gradi”.

Che ruolo gioca il vostro blog?
Dalla parte del cavolo, ha avuto inizialmente lo scopo di raccontare la nostra avventura, narrando le attività di un contadino stagione dopo stagione. Col tempo è diventato qualcosa di più, uno strumento di divulgazione delle nostre riflessioni: cerca di sfatare falsi miti mostrando il mondo agricolo così come lo stiamo conoscendo, nei suoi limiti, nelle difficoltà, nelle frustrazioni e nelle soddisfazioni, provando ad uscire dalla retorica romantica e bucolica che solitamente si usa per parlare di campagna e contadini”.

Cerchiamo allora di sfatare qualche mito.
“Le difficoltà sono tante. Si tratta di problematiche che non interessano solamente la nostra esperienza ma che riguardano più in generale l’ingresso di un giovane, estraneo al settore, nel mondo agricolo. È necessaria una dotazione di risorse iniziali, di tipo economico, materiale, relazionale. Il primo problema è l’accesso alla terra: se non sei proprietario di un podere, trovarne uno per impostare un progetto di lavoro risulta un’impresa difficile”.

Come mai?
“Non ci sono politiche territoriali che si muovono in questo senso. L’incontro tra possidente e affittuario avviene a livello informale, per passaparola, per relazioni familiari e personali, ed è piuttosto difficile stipulare un contratto di affitto sulla terra. Altro problema è rappresentato dalla mancanza di attrezzature e dunque dalla necessità di fondi per il loro acquisto e la manutenzione. A ciò va aggiunta la difficoltà di districarsi dalle maglie di una burocrazia che lascia sempre meno spazio all’agricoltura contadina di piccola scala. Infine, una volta superati questi ostacoli, ci siamo trovati ad affrontare il problema della vendita e della distribuzione della nostra produzione, ad alto lavoro manuale e di piccola scala”.

Però ci sono i mercatini organizzati dalle associazioni di categoria.
“Vero, ma rappresentano perlopiù un’occasione di vendita diretta dei propri prodotti per aziende medio-grandi, già strutturate. Inoltre quando abbiamo iniziato la nostra esperienza contadina, una delle ragioni che ci aveva convinti a scegliere questo percorso era la promessa di fondi europei a sostegno dei giovani contadini. Dico promessa, perché alla prova dei fatti la Politica Agricola Comunitaria 2014-2020 non è riuscita a facilitare l’ingresso di una nuova generazione di contadini nel mondo agricolo italiano. Al contrario, ha elargito risorse ai figli di capi azienda più anziani, rimanendo nell’ambito di aziende strutturate. Noi non abbiamo avuto accesso a questi fondi e abbiamo dovuto mettere di tasca nostra tutte le risorse necessarie per avviare la nostra attività e per gli investimenti. Non è facile diventare contadini, soprattutto se sei giovane”.

La giovane età, quindi, è un ostacolo?
“In alcuni casi si. In primis, per la credibilità del nostro progetto: tante volte ci siamo sentiti dire che con una laurea in tasca è meglio fare l’impiegato. Poi c’è sicuramente un problema di comunicazione tra vecchie e nuove generazioni, in particolare sui metodi produttivi. Essere giovani non significa sicuramente aver vita facile”.

Prospettive per il futuro?
“È difficile pensare al futuro. La nostra attività si svolge per lo più su terreni in affitto, dunque viviamo una condizione di instabilità che non sappiamo per quanto riusciremo a portare avanti. Pensavamo che l’accesso al mondo agricolo fosse più semplice, ma la realtà si è mostrata completamente diversa. Non mancano, comunque, elementi positivi in questa esperienza: il rapporto diretto con i nostri consumatori, che nonostante le difficoltà ci sostengono acquistando i nostri prodotti con cassette settimanali o recandosi al mercato dei produttori di Cattolica il mercoledì mattina, in Via Po (zona Torconca). La nostra avventura contadina ci dà la forza di non aver paura e di mostrare che nulla è impossibile”.

Simone Santini