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Michele Brambilla – Vinceremo di sicuro….

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“Non poteva mancare la Romagna in ogni capitolo del mio libro”. L’ha raccontato il direttore della Gazzetta di Parma Michele Brambilla (già vicedirettore de La Stampa) in visita a Rimini alla Biblioteca Gambalunga. Il suo nuovo lavoro, Vinceremo di sicuro (Piemme) è un inno all’ottimismo dell’Italia anni Sessanta, che aveva tanta voglia di rincorrere il progresso. In ogni capitolo del libro un’intervista a un personaggio celebre che ha vissuto quel periodo.
Il punto di congiunzione nei racconti? La spensieratezza sulla Riviera Romagnola.
“Ho avuto l’idea del libro quando assistevo mia madre in ospedale poco prima che mi lasciasse. In quei momenti mi era tornata alla mente la mia infanzia in Romagna. Conobbi Caterina Caselli per la prima volta a Milano Marittima nel ’66, avevo 7 anni e mi piaceva tantissimo. Il suo ritmo forsennato rappresentava la voglia esplosiva dei giovani di quegli anni”.

Il secondo appuntamento con l’ex “casco d’oro” del pop italiano lo ha avuto proprio in occasione del libro. Oltre ai suoi aneddoti, sono presenti anche quelli di Pupi Avati, Renzo Arbore e molti altri. Direttore, vede ancora quella stessa voglia di rivincita sulla storia?
“Nel Paese c’è un diffuso sentimento di rassegnazione. Quando poco tempo fa il Governo decise di candidare Roma alle Olimpiadi, ho sostenuto l’iniziativa con un articolo e in seguito sono stato ricoperto di insulti: tutti temevano il solito mangia-mangia e che non ce l’avremmo mai fatta. L’aspetto più grave di questa crisi è la convinzione che non ne usciremo mai, quando invece la storia ci ha insegnato che ci sono momenti di vacche magre ma anche di vacche grasse”.

Perché è partito dagli anni Sessanta?
“In quegli anni avevamo fiducia nel futuro nonostante fossimo molto più poveri di adesso (mia madre ha visto il mare per la prima volta a 21 anni). C’era la certezza che il domani sarebbe stato migliore del presente. Oggi è il contrario: gli adulti pensano che il futuro migliore per i propri figli sia all’estero”.

In questo racconto “non poteva mancare la Romagna”, ha detto. Come mai?
“La Romagna mi ha cambiato la vita. Qua si viene da piccoli perché è il paradiso dei bambini, poi si torna da ragazzi perché è ricco di divertimenti e in seguito si ritorna da genitori. C’è sempre un motivo per venire in Romagna. E quando vengo qua non dico ‘vado al mare’ ma ‘vado in Romagna’, perché avete qualcosa in più oltre al mare”.

Visto dall’esterno, qual è il segreto del successo di questa terra?
“Basti pensare che i tedeschi, fatti prigionieri lungo la Linea Gotica durante la Seconda guerra mondiale, hanno poi deciso di ritornare in Romagna come turisti. In quale altro momento della storia un ex soldato va a svagarsi dove era tenuto prigioniero? Si sono ricordati della vostra capacità di accoglienza, unica al mondo. Avevano un buon ricordo di Rimini”.

Cosa rappresenta Rimini per lei?
“Una città che si reinventa continuamente: dal turismo aristocratico di fine Ottocento, primi del Novecento, a quello borghese durante il fascismo; quello di massa nel dopoguerra, fino alle discoteche e le fiere di oggi. Rimini è un esempio dell’Italia che ha voglia di futuro”.

E i romagnoli di oggi come li vede?
“I giovani sono stati troppo coccolati, come in tutt’Italia. Negli anni in cui Rimini costruiva il suo mercato turistico, i pescatori andavano nel tempo libero a studiare il tedesco per prepararsi alla stagione. Oggi la stessa occasione si ripresenta con i russi, i cinesi, gli arabi… ma nei giovani non vedo la stessa voglia di fare”.

Continuerà a trascorrere tutti gli anni le vacanze in Riviera?
“Sempre! L’unica estate in cui non sono venuto sono andato in America con un viaggio organizzato in cui erano tutti romagnoli. A un certo punto mi sono ritrovato sulle rive del Mississipi con il coro che intonava Romagna mia. Sono destinato alla Romagna”.

Mirco Paganelli