Viaggiatori sì, ma “made in Rimini

    QUANTIFICARE e qualificare il popolo dei pendolari. La questione, non è del tutto banale, complice quel dibattito della pubblica opinione, che, affronta criticamente la questione della trasformazione dei comuni in quartieri dormitorio, che si spopolano al mattino, per ripopolarsi solo a sera. In merito, l’assessorato alla mobilità della provincia di Rimini ha realizzato, appena due anni fa, uno studio sulla mobilità del territorio provinciale.
    L’obiettivo era semplice: capire la natura dei flussi che si muovevano sia dentro che fuori dalla provincia.
    Oggi, nei 20 comuni, si contano 294.110 persone, appena 20 mila in più, rispetto al 2005, quando venne realizzaro lo studio in questione. Visto che nel frattempo, non ci sono stati cambiamenti infrastrutturali importanti da ipotizzare una controtendenza, é possibile considerare questa ricerca ancora attuale? Per rispondere a questa domanda ci siamo fatti aiutare da Alberto Rossini, assessore alla mobilità della Provincia di Rimini, che nel 2005 monitorò in prima persona lo studio.
    É possibile allargare i risultati di quella ricerca al 2007?
    “Purtroppo si. Dico purtroppo perché questo vuol dire che in due anni son si è riuscito a fare nulla di sostanziale per invertire delle controtendenze, che bisogna dire, sono consolidate nel tempo”.
    Allora si disse che in provincia di Rimini non si usavano i mezzi pubblici, è solo una questione infrastrutturale?
    “É certamente una questione di infrastrutture ma non solo. Basti pensare che attualmente vige una legge sul trasporto pubblico retrodatata di un trentennio. Ciò che manca è una coscienza e un’educazione che, attualmente, spinge i cittadini a spostarsi sempre in macchina. Forse perché non si pensa al disastro ambientale provocato da tutto questo CO2 messo in circolazione”.
    Il Trc potrebbe riportare l’amore per il mezzo pubblico?
    “Io penso che il Trc possa essere utile, sia per i lavoratori della provincia che per i turisti. Speriamo che questa struttura (cui aggiungiamo puntualmente delle iniziative e degli incentivi), possa spronare i cittadini a lasciare a casa la quattro ruote”.
    Ma ritorniamo allo studio sulla mobilità, che stando alle dichiarazioni dell’assessore possiamo considerare più vicino di quanto non sia:

    Lo studio
    Il primo risultato, non certo sconvolgente, è stato che il gran numero dei residenti si spostava nell’ambito del territorio provinciale. Ciò che può sembrare insolita, invece, è la mole di questa fiumana. Si trattava, infatti, del 94,4% del numero totale degli spostamenti nei 20 comuni. In valore assoluto, giornalmente si contavano, da un comune all’altro, 31.421 “miniviaggi”, di cui 24.225 per lavoro e 7.166 per studio. Con un bilancio ingresso-uscite che si assestava intorno ai 5500 giornalieri.
    Partiamo da questo dato, dunque, per cercare di capire quali sono i fattori che orientano i pendolari verso una direzione piuttosto che un’altra.
    Nel documento d’identità del pentolare tipo “made in Rimini”, i segni distintivi erano pochi: viaggi giornalieri e a breve raggio. Il 44% della popolazione residente (272.676 nel 2005), era in movimento, sistematicamente per motivi di studio e di lavoro. Mentre il segno distintivo del medio raggio, è legato al fatto che il grosso della moblità si giocava dentro i confini del comune di residenza, parliamo, infattti del 69.5% (valore medio) del totale degli spostamenti. Una mobilità internissima che vedeva l’86% del viavai riminese consumarsi entro confine, così come entro i confini si misurava il 58% di quello bellariese, il 57.9% di quello cattolichino, il 66.3% di quello riccionese, ecc…
    Scontate le concentrazioni di viaggi verso i comuni con insediamenti produttivi e terziari di spessore.
    Ci sono poi, i casi degli spostamenti più lunghi, quelli che muovono da una provincia ad un’altra. Molto più frequenti, tolta la gran mole degli interprovinciali, sono gli scambi con le province vicine, come quella di Forlì-Cesena (3,6%) si presume, più per motivi di lavoro e di Bologna (1.2%), verso il polo universitario, mentre nessuno si sposta verso Piacenza, Parma, Reggio Emilia, un esiguo 0.1% verso Modena e Ferrara e un poco considerevole, 0.6% in direzione di Ravenna.

    In macchina
    o in autobus?
    Il mezzo più usato risultava essere l’automobile. Parliamo della metà dell’intera mole degli spostamenti (47%), siano essi per lavoro (conducenti) o per studio (passeggeri). Quasi il 17% degli studenti usava l’autobus o un altro mezzo pubblico, mentre il 14,4% raggiungeva l’edificio scolastico a piedi. I lavoratori, invece, hanno usato il mezzo pubblico molto meno (3,6%), preferendo, dopo l’auto, andare a piedi (10,2%) o usare la bicicletta (8,1%).
    Riassumendo, possiamo dire che: il movimento per motivi di studio o lavoro si svolgeva in prevalenza con l’auto privata (65%) e, per oltre il 30% degli spostamenti con il solo conducente a bordo. Quindi l’auto era, e possiamo affermare, è vista ancora, come un mezzo di spostamento individuale.
    Solo un 14% dei tragitti in auto corrisposero a movimenti di “accompagnamento” verso scuole o uffici, con scarso successo dei mezzi pubblici.
    Nella scelta sicuramente incisero i tempi di percorrenza. Infatti, ancora oggi, chi prende l’autobus si muove con almeno mezz’ora di anticipo rispetto a chi parte in macchina. I più veloci sono sicuramente gli scooteristi, che sono gli ultimi ad uscire di casa, superando tutti in code ed ingorghi.

    Angela De Rubeis