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Un’idea tutta… Stramba!

Una barca a vela senza albero e boma. Non serve essere esperti di vela per capire l’assurdità di questa frase. Ma, come spesso accade, è proprio il non conoscere un determinato argomento che può portare a pensieri innovativi, addirittura rivoluzionari. È il cosiddetto pensiero out of the box: se non si conosce un argomento, i ragionamenti escono da ogni schema. E anche l’assurdo può non essere più tale.

Daniele Mingucci è riccionese e ha 46 anni. Figlio di un ingegnere, è laureato in lettere classiche, una tesi su Dante Alighieri, e lavora in un’agenzia di comunicazione che ha fondato. La vela non l’aveva mai sfiorato, il suo rapporto col mare non era mai andato oltre il surf, praticato da ragazzo. Proprio per questo, per il suo pensiero fuori dagli schemi, ha un’idea: se si trovasse un modo per togliere l’albero ma mantenere le vele, si avrebbe una barca con molto più spazio e visibilità. Nasce così il progetto di Stramba (dal nome della strambata, una delle manovre della vela): una barca che al posto dell’albero ha due “binari” paralleli a forma di U rovesciata che, attaccati ai due lati dello scafo, gli passano sopra, permettendo alla vela di muoversi passando sopra le teste dei membri dell’equipaggio. L’idea, per quanto… “stramba”, ha suscitato l’interesse di diversi operatori del settore: nel cantiere navale Zuanelli, sul Lago di Garda, sta prendendo forma il primo prototipo di 46 piedi (circa 15 metri), con l’obiettivo di procedere al primo varo nell’estate del 2019.

In attesa di scoprire se Stramba funzionerà, è lo stesso Mingucci a raccontare questa esperienza.

Daniele, ci racconti com’è nato il tutto.
“Prima di raccontare com’è nata l’idea di Stramba, occorre fare una premessa, per spiegare cosa significhi per me fare innovazione. Una delle dimensioni principali che si vive quando si fa innovazione è la paura: nello specifico, con questo progetto, stiamo andando in territori in cui nessuno è andato. Per questi motivi io, e con me chi mi sta aiutando a realizzarla, corro quel pericolo che corrono tutti quelli che hanno un’idea: farsi divorare da quell’idea. E il modo per evitarlo l’ho dovuto trovare nella mia esperienza. Siccome il mio è un lavoro che si basa sulla creatività, negli anni ho imparato che per lasciare libera la creatività occorre impedirsi di dire di no. Ed è proprio per questo che ho vietato a me stesso di dire di no quando mi sono chiesto per la prima volta se fosse possibile progettare una barca a vela senza albero e senza boma”.

E quando è successo?
“Nel 2010 mi trovavo in vacanza in Calabria con i miei figli. Decidiamo di fare una gita in barca a vela ma, una volta finita, mi sono trovato con un gran mal di schiena, il che mi ha portato a chiedermi se fosse possibile pensare a una barca a vela più comoda e pratica da maneggiare. Così, quasi per scherzo, ho cominciato a fare i primi bozzetti (che ad oggi reputo imbarazzanti) e i primi modelli, tutto rigorosamente fatto in casa. Ho addirittura realizzato un modellino che ho provato nella mia vasca da bagno, simulando il vento con il ventilatore, per verificarne il funzionamento!”.

Finché le cose si sono fatte più serie.
“Si, col tempo ho iniziato a studiare più seriamente e, poco dopo i primi studi, ho fatto il primo brevetto. Finché non è arrivato il momento di compiere quello che per ogni inventore è un sacrificio: giocarsi l’idea con altre persone. Ne ho parlato con mio padre, che insegna ingegneria all’università, e con Mario Zuanelli del cantiere navale omonimo. Inoltre ho potuto conoscere il professor Alfredo Liverani, anche lui ingegnere e docente all’Università di Bologna, che mi ha portato alla preziosa collaborazione con l’ateneo e, nello specifico, con il dipartimento di Ingegneria industriale che permette di entrare in contatto con progettisti straordinari, alcuni dei quali hanno collaborato anche con Luna Rossa. E, ad oggi, è la cosa di cui sono più orgoglioso, perché da un piccolo sacrificio è potuto nascere, ed evolversi più concretamente, il progetto di Stramba”.

Un progetto che procede… a gonfie vele?
“Sta andando bene. Nel 2014 è nata la nostra start up e i finanziatori interessati al progetto non si sono fatti attendere. L’obiettivo, una volta che avremo la prima barca pronta, è quello di portarla in giro per i vari saloni nautici italiani, oltre che, ovviamente, a Rimini. Ci auguriamo di procedere con il varo nell’estate del 2019”.

Arriviamo al cuore della questione. Come funziona Stramba?
“Il progetto si basa su un sistema a forma di U rovesciata, che permette alla randa di cambiare mura (il lato della barca, ndr) senza utilizzare il boma, ma passando sopra lo scafo, in alto, senza inficiare spazio e visibilità. Inoltre, un altro aspetto innovativo è nel tipo di vela: la struttura a U rovesciata fa sì che la vela esponga al vento sempre lo stesso lato, e questo ci permette di sagomarla e ottimizzarla al meglio. In questo modo la vela si comporta come un profilo alare, ovvero ha lo stesso funzionamento, a livello strutturale, delle ali degli aeroplani. E questo permette una maggiore manovrabilità e una notevole velocità aggiuntiva”.

Per finire, la domanda più spontanea: funziona?
“Tutti coloro che stanno collaborando a questo progetto lavorano intensamente per rispondere a questa domanda. Ora non resta che aspettare di provare la prima barca, ma le carte in regola ci sono tutte. Per realizzarla ci siamo affidati a Q-id, studio forlivese di design industriale che ha collaborato anche con Ducati e Ferrari. L’auspicio è, chiaramente, che tutto vada bene, per arrivare poi ad una produzione su scala industriale”.