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Un raggio di luce da Copacabana a Rimini

Sorprendentemente la chiesa di Rimini potrebbe trovare tra le sue figure più luminose una sua figliola adottiva di origini brasiliane. Viveva a Rimini insieme al marito Alessandro De Ponti e al figlio adottivo Jhonis André. Ai funerali sabato 7 aprile nella chiesa di San Vicinio di Viserba hanno partecipato circa 400 persone stipate dentro la chiesa e fuori nel piazzale antistante. Jacqueline era povera di famiglia ma ricchissima di umanità e di generosità e lo si è visto nella partecipazione di tanti al funerale, tra questi oltre a tanti riminesi, alcuni connazionali brasiliani che vivono a Rimini o nel milanese, la città originaria del marito. La bara era addobbata con fiori giallo-verde i colori del Brasile.
È stato un commosso don Giuliano Renzi, che verso la metà degli anni ’80 l’aveva conosciuta giovanissima appena arrivato a Rio insieme a don Filippo Santoro (oggi vescovo a Taranto) a parlarne nell’omelia. ‘Perché cercate Gesù che non è più qui? Non abbiate paura è risorto e vi attende in Galilea’. E rivolgendosi direttamente a Jacqueline ha detto: “Come ho ritrovato vere queste parole soprattutto in te che hai vissuto nella tua carne il mistero pasquale. La nostra amicizia era appena sbocciata nella compagnia di quei quattro scagnozzi della scuola pubblica Pedro Alvares Cabral di Rio che frequentavi e che faceva parte del territorio della mia parrocchia Nostra Signora di Copacabana”. Don Giuliano ha ricordato, uno ad uno, gli amici coi quali è cresciuta quella comunità fino ad oggi, forte e fedele. Poi l’incontro di Jacqui con Alessandro, che andò, durante una estate, in vacanza dall’amico prete in Brasile. E il matrimonio celebrato proprio nella stessa parrocchia di San Vicinio.
Un cambiamento di clima, abitudini e di amicizia per la Jaqui che si trovò subito bene in Italia, pur provando tanta nostalgia verso il Brasile.
La vita, caro amico, è l’arte dell’incontro: è il titolo di un album musicale di uno dei più grandi e conosciuti poeti e musicisti brasiliani, Vinicius de Moraes. E questo don Giuliano ha ripetuto nell’omelia ricordando la giovane Jacqui trasferitasi a Rimini e mai rimasta sola, intrecciando attorno a sé una rete d’amicizie. E poi l’arrivo del figlio adottivo Jhonis Andrè che, dice ancora don Giuliano, “ti ha fatto sperimentare fino in fondo cosa significhi essere madre. Il Signore non ti ha mai mollato neppure nella drammatica sentenza della malattia e il conseguente incontro con il medico Domenico Samorani e le amiche del ‘Punto rosa’ che t’hanno aiutata ad affrontare questo periodo facendo venire fuori tutta la tua tempra di lottatrice e di donna di fede”.
Anche i canti ascoltati e cantati insieme hanno segnato questo ‘arrivederci’ come la bellissima canzone ‘La casa del melograno’ che Claudio Chieffo compose nel febbraio 2003, dedicata all’amico Giorgio Gaber. In questo testo che sembra scritto proprio per Jacqueline, Chieffo riversa il suo travolgente genio poetico: “Bussa pure alla porta, mia madre ti aprirà. Lei è ancora più bella di quello che puoi immaginare, nella casa del melograno c’è sempre il sole e la brezza di sera ti fa sentire il mare… Segui il raggio di luce e la luce ti porterà dove il dubbio ritorna domanda e rinasce il cuore: nel giardino c’è Dio che ti aspetta e ti vuole parlare puoi sederti vicino, vicino, ad ascoltare…”.
Il dottor Domenico Samorani, chirurgo senologo direttore dell’equipe di chirurgia senologica all’ospedale di Santarcangelo, ha raccontato come l’incontro imprevedibile con questa nuova paziente e amica, non solo abbia offerto un arricchimento professionale, ma “ha scolpito l’umanità di coloro che ha incontrato, risvegliando in tutti noi la coscienza di appartenere al popolo di Dio su questa terra”. Quel popolo che si è alternato non solo in ospedale per farle compagnia, l’ha curata, è andata a trovarla e persino le ha portato pranzo e cena. Anche la cognata di Jacqueline, Loretta Ricci De Ponti, ne ha dato una luminosa testimonianza.
Il vescovo di Taranto monsignor Filippo Santoro che per impegni non era presente al funerale, e a cui la Jacqueline fece anche da segretaria in Brasile, è venuto a Rimini venerdì 13 per celebrare la messa di ‘ottava’ proprio nella chiesa di San Vicinio. Ricordando la festa dell’Incarnazione, mons. Santoro ha detto che in questa giovane donna s’è avverato quanto si chiede nella preghiera di questa festa e che noi diciamo a cuor leggero: di partecipare alla natura divina, di diventare insomma sul serio figli di Dio. “Gesù raggiunge e tocca la nostra vita: così è accaduto – ha detto monsignor Santoro – con Jacqueline. Il Signore l’ha presa il 5 aprile ma l’aveva già presa trenta anni fa nell’incontro con don Giuliano, con gli amici di Rio, con me. E prima ancora l’aveva presa nel suo battesimo. ‘Ma perché la malattia?’ Io non ho una risposta a parole ma quando una decina di giorni fa la sono venuta a trovare in ospedale, riconoscendomi ha lanciato un grido di gratitudine, poi abbiamo pregato insieme, quando alla benedizione s’è fatta il segno della croce ed ha baciato il crocifisso che le porgevo dicendo alla croce: ‘Querida’ ‘Cara’, serena e con pace abbandonandosi alla volontà del Padre. Invitando poi tutti i presenti a baciare il Crocifisso: quella è stata per lei la porta della Resurrezione. La stessa vita che aveva incontrato uscendo da casa e scendendo per le strade di Copacabana, era partita per raggiungere le strade di Rimini sino al compirsi pienamente dinnanzi al volto di Dio”.

Serafino Drudi