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Un quartetto solo per due

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osservatorio musicale
Al Teatro Sociale di Trento l’opera composta nel 2011 da Luca Francesconi su libretto di Heiner Müller

TRENTO, 5 maggio 2017 – Drammaturgo tra i massimi del secondo novecento, Heiner Müller scrisse Quartett nel 1980, traendo ispirazione dal romanzo epistolare Les liaisons dangereuses di Choderlos de Laclos. Un’operazione di segno postmoderno, dove – nonostante il titolo – compare solo una coppia d’interpreti (saranno poi loro a evocare alternativamente i due personaggi mancanti) e la cornice storica viene destrutturata: in luogo della Francia ancien régime si succedono, nella prima parte, un salotto ormai prossimo alla rivoluzione francese e, nella seconda, un bunker dopo un’ipotetica terza guerra mondiale.
La pièce di Müller, oggetto d’innumerevoli allestimenti, da qualche anno è divenuta anche un libretto. Nel 2011 Luca Francesconi, su commissione del Teatro alla Scala, ha infatti composto un’opera in dodici scene, un prologo e un esodo, dove è stato lo stesso compositore ad adattare il testo originario, sopprimendo dall’ambientazione la parte settecentesca. Fulcro drammatico, reso ancor più icastico nella riduzione librettistica, è il cruento scontro fra due protagonisti pervasi da un pericoloso senso di onnipotenza e che condurrà fatalmente al loro reciproco annientamento. In origine, l’opera di Francesconi era stata concepita per doppia orchestra e grande coro: organici spesso incompatibili con le attuali esigenze di economizzare da parte dei teatri. Il compositore ha risolto questa difficoltà – lo testimoniano i numerosi allestimenti che si sono succeduti nel tempo – limitando la messinscena alla sola piccola orchestra e ricorrendo a una registrazione per la parte restante.

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Quartett ©-FONDAZIONE-HAYDN

Con questa formula Quartett è andato in scena anche al Teatro Sociale di Trento: titolo conclusivo della stagione 20.21 organizzata dall’Orchestra Haydn e frutto di una coproduzione fra il Covent Garden di Londra e l’Opera di Rouen in Normandia. Il direttore Patrick Davin ha guidato con sicurezza e precisione l’Orchestra Haydn valorizzando il senso drammatico di una musica che amplifica, se possibile, la violenza del libretto: brevi frasi spezzate si alternano a piccole distensioni, come fossero riprese di fiato, per poi riprendere la loro incalzante escalation in un vortice di crudeltà.
Gli interpreti, da parte loro, sono convincenti nel restituire la deformazione allucinata di due menti perverse impegnate nello strenuo gioco al massacro. Adrian Angelico è una marchesa di Merteuil priva di qualsiasi scrupolo morale, protesa a soddisfare soltanto i propri desideri di vendetta attraverso un uso spietato della razionalità: intenzioni che il mezzosoprano riesce a esprimere con efficacia grazie a una zona grave molto sonora. Forse meno cinico, ma succube della donna, il baritono Robin Adams appare credibile – come visconte di Valmont – anche quando s’immedesima nelle sue vittime femminili, facendo talvolta ricorso al falsetto.
Lo spettacolo del regista inglese John Fulljames riesce a rendere ben intelligibile il gioco di specchi tra i quattro personaggi, reali e virtuali. Con l’ausilio della scenografa e costumista Soutra Gilmour delinea poi un contesto di profondo degrado fisico e mentale: uno spazio claustrofobico da “dopo catastrofe” desolato, buio e opprimente, con brandelli di tende calati dal soffitto, e una ringhiera che isola i due interpreti da un mondo per loro alieno. In tale cornice visiva le crudeli intenzioni racchiuse nelle parole dei protagonisti – due straccioni che evocano gli antieroi beckettiani – risultano ancor più stranianti nella loro autoreferenzialità e nel totale disinteresse rispetto all’umanità circostante. La percezione, palpabile, è quella di un’angosciosa metafora del vuoto in cui agonizza la nostra civiltà.

Giulia Vannoni