Home Vita della chiesa Un pugno di dollari ed una corona

Un pugno di dollari ed una corona

“Vai Luciano, vai. A settembre arriveranno i primi ospiti”. Luciano fa Chicchi di cognome, all’epoca era un ragazzo pieno di belle speranze (tutte mantenute, come recita il suo curriculum, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio e numero uno dell’Azienda di Soggiorno di Rimini, tra l’altro), pieno di entusiasmo, ma sguarnito di esperienza. A lanciarlo nel mondo dell’impresa è don Oreste Benzi, che nei primi anni Sessanta non è ancora il “sacerdote dalla tonaca lisa” ma è già un sacerdote vulcanico. Il luogo che il don indica a Chicchi è la Casa Madonna delle Vette, struttura sulle Dolomiti, ma con cuore riminese, famosa in Diocesi, dalla quale sono passate intere generazioni di ragazzi, interessati a fare un “incontro simpatico” con Cristo. Quando anche una semplice vacanza può cambiare la vita, insomma.
Di Madonna delle Vette quest’anno ricorrono i cinquant’anni dalla posa della prima pietra. Tutto era cominciato nel 1955, quando don Oreste di reca sul Catinaccio e, folgorato dalla bellezze di quelle vette, ha l’intuizione: quello è un luogo adatto per far incrociare i giovani con Cristo. Anche i giovani con la sabbia nelle scarpe come i riminesi. Da allora è trascorso mezzo secolo e quella che un tempo era “la casa alpina degli adolescenti”, inaugurata nel 1961, ora è un grande “albergo-famiglia”.
Ne è trascorsa di acqua sotto i ponti da allora. E quante preghiere è costata, quell’avventura.
Su quel luogo il don ci mette gli occhi sopra e non se ne distacca più. Ma i soldi non ci sono. Chiede a destra e a manca, trova qualche incoraggiamento ma pochi soldi e così – col permesso del vescovo Biancheri – va fino negli Stati Uniti a cercar fortuna. Il viaggio negli States è avventuroso. Il “prete degli ultimi” parte il 14 agosto 1958, giorno dell’Assunta. Ma il 4 agosto, con una fiducia pari alla sua fede, pone la prima pietra della casa, benedetta dal vescovo Biancheri.
Dopo aver rischiato il rimpatrio come indesiderato (vendeva corone del rosario fuori dalle chiese), don Benzi (accompagnato la prima volta da don Filippo di Grazia, la seconda da don Sisto Ceccarini, “sempre assistiti dalla Madonna”) convince il vescovo di New York della bontà del progetto e torna a casa con qualche dollaro, una speranza in più e la certezza che Dio gli avrebbe aperto le strade perché era cosa “buona e giusta”. E distribuisce entusiasmo a piene mani tra amici e collaboratori, come Luciano Chicchi appunto, nominato sul campo direttore di Madonna delle Vette. Nel 1957 un don Oreste poco più che trentenne acquista, grazie ad un prestito bancario, 11mila metri quadri di terreno ad Alba di Canazei: 365,50 lire al metro quadro, il costo. Il progetto viene affidato all’architetto Ildo Avetta di Roma. Preventivo di spesa: 120 milioni di lire. Una follia. Eppure il 9 agosto 1961 Madonna delle Vette è una realtà. Una bella realtà. Una struttura immersa nel verde accogliente e a misura d’uomo. Nella cappellina dell’albergo, vero cuore della struttura, è ancora conservato il libro delle messe con la prima pagina vergata di pugno da don Oreste. All’interno della cappellina gli occhi convergono sul crocifisso ligneo, grande e sospeso davanti alla vetrata dalla quale si abbracciano con la vista i grandi abeti che circondano la casa. Se la cappella è il cuore della casa, è con il “deserto”, momento di meditazione e di preghiera, che si apre a metà giugno la stagione estiva.
Qui, da sempre, le vacanze sono senza barriere. Ad inaugurarle, nel 1968, fu il primo campo di condivisione con i ragazzi spastici del Rizzoli di Bologna, un’allegra compagnia che fece storcere il naso all’Azienda di Soggiorno, disposta persino a pagare purché quel gruppo facesse fagotto altrove. Ma don Oreste non cedette e, con lo slogan “Là dove siamo noi, lì anche loro”, da quarant’anni le opportunità della Val di Fassa sono accessibili anche a famiglie con figli disabili.
“Non è solo un albergo – precisano Giovanni Colombo e la moglie Stefania, la coppia che manda avanti la casa oggi – è anche un ambiente familiare, comunitario, un luogo di lavoro, preghiera e vacanza”. Giovanni e Stefania nel 1998 hanno suggellato il loro matrimonio proprio nella cappellina di questo albergo. Venivano da Bologna e raccogliendo la sfida lanciata dal don e da Vincenzo Macchiavelli, si mettono a gestire la struttura, dopo che i precedenti responsabili, i riminesi Gigi e Cristina Gironi, erano tornati in riva al mare. Basta una giornata per capire che c’è qualcosa di particolare in questo albergo. “Le richieste di prenotazione aumentano, tanto che non riusciamo a soddisfarle tutte”. Ogni anno passano di qui 4.000 persone e pensare che tutto è nato grazie alla posa della prima pietra, mezzo secolo fa, quando per costruire la struttura non c’era una lira.

Paolo Guiducci