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Un genitore felice è un genitore efficace

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Tanti babbi, insieme a qualche mamma, a interrogarsi sui cambiamenti del ruolo paterno nell’ambito della famiglia, in una società in sempre più rapida trasformazione. Se ne è parlato lo scorso 25 gennaio al Centro per le famiglie del Comune di Rimini che ha promosso l’incontro “Anche il papà lo sa! Il ruolo del padre come protagonista nella crescita dei figli”.
“Un titolo provocatorio – ha spiegato Silvia Baldazzi, psicologa del Centro – che vuole richiamare la rinnovata centralità che la figura del padre assume all’interno della famiglia per poi definirne le competenze non solo relativamente al suo saper fare ma anche al suo saper essere”.
Una bella sfida accolta da due professionisti, ma anche giovani papà: Roberto Vignali, pedagogista e Wiliam Zavoli, psicologo e psicoterapeuta. Entrambi impegnati professionalmente nell’ambito della cooperativa sociale “Il Millepiedi” di Rimini, contesto in cui quotidianamente sperimentano e definiscono il loro pensiero pedagogico.
L’appuntamento si colloca nell’ambito del ciclo di incontri a tema: “Dedicato a mamma e papà”, una serie di appuntamenti gratuiti promossi dal Centro per le Famiglie del Comune di Rimini e rivolti a genitori, insegnanti, educatori. Prossimo incontro mercoledì 15 febbraio alle 20.45 sempre in piazzetta dei Servi 1: “Il piacere di stare a scuola! Come le relazioni possono favorire l’apprendimento e la crescita”, a cura di Silvia Baldazzi.

Abbiamo fatto una chiacchierata con entrambi i relatori, sui temi della paternità e delle insidie “moderne” che i papà di oggi sono chiamati ad affrontare. Cominciamo con Roberto Vignali.
Roberto, cosa significa essere padre oggi?
“Essere padre oggi è molto diverso dal passato. Abbiamo tante più risorse a disposizione ma viviamo anche in un mondo più fragile e pieno di incertezze. Mi piace parlare di paternità a partire dal concetto di felicità. Felicità implica essere completamente soddisfatti, ha a che fare con l’idea di pienezza. La felicità è la meta che ognuno di noi persegue ma la società attuale ci offre e propone false felicità, desideri effimeri che creano frustrazioni e bisogno di sempre nuovi stimoli. Mi piacerebbe invece che passasse l’idea di una felicità che sta nella relazione, nel condividere a pieno la propria vita con altri. Questo implica anche accettare le nostre responsabilità che sono stimoli e ricchezze e non limiti e catene, come spesso vengono rappresentate”.

Come essere buoni padri in questa complessità?
“Innanzitutto credo sia importante avere dei modelli: un’idea di famiglia, di paternità, di futuro a cui fare riferimento costantemente. Poi credo molto nella dimensione del confronto: bisogna combattere il mito della spontaneità, l’idea che per essere bravi padri bastino le buone intenzioni. Essere genitori implica un costante lavoro su se stessi e un’intenzionalità educativa che non va sottovalutata e che si definisce nel dialogo innanzitutto con la propria compagna e poi con altri genitori e adulti. Non si è mai padri da soli. Anche la competenza comunicativa va sviluppata perché l’uso della giusta parola è di fondamentale importanza. Oggi si tende a trasformare in luogo di confronto anche la chat dei genitori su whatsapp: è sbagliato! Servono luoghi di confronto reale, non contesti fittizi e così pervasivi”.

Cosa cambia per un padre quando un figlio entra nella delicata fase dell’adolescenza?
“La vera novità di questi anni non è tanto il disagio adolescenziale (tutti ci siamo passati) ma il disagio e la fragilità del mondo adulto. La vera nuova povertà è il disagio dell’adulto: le sue incertezze, i suoi capricci, le sue rivendicazioni, i suoi diritti. Affrontare l’adolescenza dei figli implica invece avere la forza di costruire con loro un patto e una condivisione educativa basata sia su delle regole che su un dialogo. I nostri figli ci guardano, il problema è che spesso siamo noi a sottrarci a quello sguardo”.

Esiste ancora l’autorità paterna?
“Il tema dell’autorità si lega profondamente al ruolo del padre. Oggi a questa parola è data un’accezione negativa, mentre ha un valore altissimo perché implica un fondamento comune, un legame bello di responsabilità volto al futuro. Il padre indica una strada e il figlio la accoglie perché riconosce in lui un’autorità e si fida. Anche nella relazione, nella contestazione e nel conflitto un adulto deve sapere stare. Mi viene in mente un’immagine di don Tonino Bello: in una lunga e difficile camminata in montagna può capitare di doversi fermare a riposare. Ma anche da fermo, anche nei momenti di difficoltà, non devo mai smettere di indicare all’altro la strada giusta”.

Anche Wiliam Zavoli, psicologo e psicoterapeuta, ha una sua precisa lettura del ruolo paterno, oggi.
Si invoca da più parti la mancanza del padre. Secondo la tua esperienza, William, è così?
“È un tema ricorrente: in psicologia si parla di padre evaporato, un celebre psicaonalista come Recalcati ha elaborato la teoria del complesso di Telemaco, il figlio che attende invano il ritorno del padre. Effettivamente è un ruolo in crisi: la società non sorregge più il padre come in passato, siamo passati rapidamente da una società patriarcale a una società negoziale e in alcuni casi addirittura simmetrica. La relazione è vissuta in modo diverso, prevalgono i codici materni (accudimento, ascolto) su quelli paterni e così, spesso, questo manda i padri in confusione perché devono ridefinire completamente il loro ruolo senza punti di riferimento e senza il sostegno sociale che avevano in passato”.

Quale dovrebbe essere il primo compito di un padre?
“Il primo compito di un padre è quello di dare un limite. Questo però nella società di oggi non è riconosciuto come valore e diventa più difficile. Ma non basta mostrare il limite se non c’è al tempo stesso la tensione a far vedere cosa c’è oltre quel limite. Potremmo dire che un bravo padre è un po’come un bravo arbitro: deve far rispettare le regole ma al tempo stesso non deve uccidere l’entusiasmo e l’agonismo, deve fare in modo che si giochi una bella partita. Un costante equilibrio tra senso del limite e tensione al desiderio”.

Come instillare questo positivo desiderio in un figlio?
“Innanzitutto attraverso la testimonianza, offrendo un modello coerente. In secondo luogo costruendo un clima e un rapporto di fiducia. Infine, donando all’altro una promessa. Io, genitore, ti prometto che quello che dico è vero, ti do la mia parola e ti dimostro che sarà così. Essere capaci di questa coerenza è il regalo più bello che possiamo fare ai nostri figli. Va aggiunto che un genitore felice è anche un genitore sicuramente più efficace. Per questo non dobbiamo dimenticare anche la dimensione della cura di sé, per non correre il rischio di perdere di vista la propria identità e poter così esercitare al meglio anche il proprio ruolo”.

Silvia Sanchini