Home Osservatorio Musicale Una Tosca di tradizione

Una Tosca di tradizione

Virginia Tola, Tosca ©Zani Casadio

 

 

Per la ‘Trilogia d’autunno’, al Teatro Alighieri di Ravenna, un nuovo allestimento dell’opera di Puccini con la regia di Cristina Muti 

 

RAVENNA, 23 novembre 2017 – Una Tosca tradizionale, rispettosa dei desiderata di Puccini. Non potrebbe essere altrimenti, visto che il compositore era precisissimo nel descrivere ogni dettaglio di quello che doveva accadere sulla scena. Forse è per questo motivo che i titoli pucciniani non sono molto amati dai registi, in quanto limitano troppo le loro possibilità d’intervento e – talvolta – il loro discutibile arbitrio.

Cristina Mazzavillani Muti che firma l’intera Trilogia d’autunno (comprendente anche Cavalleria rusticana e Pagliacci) si è mantenuta fedele alle prescrizioni pucciniane: ha così ambientato i tre atti nei luoghi indicati dal libretto e rispettato l’epoca – il 1800, anno della restaurazione borbonica successiva alla Repubblica Romana – scelta da Sardou (da cui è tratto il libretto di Illica e Giacosa) come cornice politica per la vicenda della cantante Floria Tosca. La regista si avvale di un duttile impianto scenico, dove – grazie alle luci di Vincent Longuemare e alle proiezioni di David Loom e Davide Broccoli – una scalinata centrale si trasforma da chiesa di Sant’Andrea della Valle in palazzo Farnese, appartamento di Scarpia, fino agli spalti di Castel Sant’Angelo. Suggestiva la trovata, nel primo atto, di due tableaux vivant: da un lato la Madonna, dall’altro il quadro della Maddalena che Cavaradossi sta dipingendo e che, per gli impercettibili movimenti della figurante, sembra rafforzare in Tosca la convinzione che si tratti dell’immagine dell’Attavanti, alimentandone così la gelosia.

Il funzionale spettacolo andato in scena all’Alighieri di Ravenna mette comunque, e giustamente, in primo piano la recitazione degli interpreti, anche se ognuno risponde poi in maniera diversa. Pur cantante collaudata, il soprano argentino Virginia Tola, nel ruolo di Tosca, si è trovata a suo agio soprattutto negli slanci lirici del primo atto, poi sempre più in difficoltà sia negli accenti drammatici sia nelle ascese a causa di acuti troppo tirati e tutti di forza, con il risultato – complice forse la stanchezza – di un Vissi d’arte piuttosto deludente. Una vera sorpresa è invece arrivata da Diego Cavazzin, tenore ultraquarantenne pressoché sconosciuto ma di apprezzabili risorse vocali: ha disegnato un convincente Cavaradossi sul piano sia vocale che scenico, nonostante un braccio infortunato. Nel ruolo del barone Scarpia debuttava Andrea Zaupa, abituato a ruoli brillanti: il registro grave non è di quelli che incutano terrore, ma l’ancor giovane baritono ha supplito a questa carenza dosando accuratamente gli accenti del personaggio (basterebbe pensare a come ha pronunciato “nel tuo cuor s’annida Scarpia”) ed è così riuscito a imprimere tratti sinistri al tremendo capo della polizia pontificia, anima nera della vicenda. Puccini non si limita a disegnare con grande precisione il solo terzetto protagonistico, e pennella con altrettanta cura i personaggi di contorno. È il caso del Sagrestano, interpretato però dal tenore Giorgio Trucco che si è trovato ovviamente a disagio in una scrittura baritonale, stimbrandosi negli affondi gravi e facendo perdere icasticità al personaggio. Peccato, poi, che il “racconto” di Spoletta – vocalmente assai difficile – fosse affidato a un tenore di scarsa consistenza come Filippo Pollini: macchietta quasi grottesca. Piuttosto incolore anche l’Angelotti di Paolo Gatti, per esilità vocale. Apprezzabili, invece, Ian Stancu nel piccolo ruolo di Sciarrone e la quindicenne Julie Cassanelli – sta ancora frequentando il Liceo musicale di Forlì – in quello del giovane pastorello che canta all’inizio del terzo atto.

Coro formato dai solidi professionisti del Teatro Municipale di Piacenza, ben preparati da Corrado Casati, e integrato nel Te Deum da quello di voci bianche Ludus Vocalis, diretto da Elisabetta Agostini. A spiccare era soprattutto l’Orchestra Cherubini: guidati da Vladimir Ovodok (originario di Minsk e allievo dell’Italian Opera Academy di Riccardo Muti), che con la sua bacchetta ha saputo illuminare i pregevoli dettagli di cui è disseminata la partitura, i giovani strumentisti hanno valorizzato la bellezza dell’orchestrazione pucciniana. Il pubblico, formato da molti stranieri – che Ravenna, con i suoi monumenti, riesce a richiamare – ha dimostrato di apprezzare: soprattutto sembravano tutti molto contenti di poter leggere il libretto sul proprio smartphone, secondo una moda che si va diffondendo sempre più.

Giulia Vannoni