Home Attualita Come ti misura la felicità. E magari ne faccio un Distretto

Come ti misura la felicità. E magari ne faccio un Distretto

In questi tempi turbolenti e un po’ rabbiosi, c’è bisogno di felicità. E questa può darla il lavoro. Parola di Luca Piscaglia, sammaurese, padre di due figli, consulente del lavoro, ideatore e attuatore del “distretto della felicità”.
A parlarne, in occasione del 1 maggio anche Tv2000 su “Questa è vita”, il programma condotto da Arianna Ciampoli e Michele La Ginestra, che è approdato in Romagna, a San Mauro Pascoli, dove molte fabbriche hanno ridotto i turni di lavoro, le scuole stanno aperte al pomeriggio, gli ambulatori medici protraggono il servizio anche dopo gli orari canonici e le lavoratrici, anziché scapicollarsi a far spesa e poi ai fornelli a mezzogiorno per ritornare dopo due ore alla manovia con l’odore di ragù ancora nei capelli, potranno presto stare sedute in mensa a mangiare un piatto caldo, volendo con il marito e i figli appresso. Nel distretto alle 17 il turno è finito e la felicità continua.
“In provincia fino a qualche anno fa era avveniristico parlare di un cambiamento dell’organizzazione del lavoro, basata sulla scansione 8-12 e 14-18, per la quale le donne – spiega Piscaglia, oggi sessantenne che ha iniziato a fare il suo mestiere a fianco del padre quand’era poco più che ventenne e non ha più smesso – sono costrette a ritmi massacranti, basati su orari che regolavano la vita cinquant’anni fa, nei tempi della famiglia allargata, e non certamente oggi”.
“Ho maturato l’idea del distretto della felicità nel 2014 – spiega l’esperto sammaurese – riflettendo sul rischio di perdere l’elevata qualità del distretto sammaurese della calzatura, derivante dal passaggio di know how da padre in figlio. La crescita costante di lavoratori extracomunitari, che dopo 10/15 anni tornano ai loro paesi d’origine, fa sì che le competenze acquisite si disperdono con progressivo depauperamento delle conoscenze.
Mi sono chiesto perché la nostra gente, e in particolare i giovani e le donne, non volesse più lavorare nei calzaturifici. Eppure si candida per lavorare alla Conad, che ha aperto punti vendita in tutta Italia, o nei grandi macelli avicoli, dove notoriamente il lavoro è anche poco piacevole e pagato meno. Però alla Conad sono disponibili turni di quattro ore, al macello si lavora a turno unico. Invece il nostro distretto calzaturiero soffre di un’organizzazione rigida. Conciliare lavoro e famiglia è veramente difficile”.
Come recuperare quelle due ore della pausa pranzo, trasformandole in un tempo di qualità? A rispondere a questo interrogativo è stato un incontro prezioso, quello con Antonella Marsala, che si occupa di progetti di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per Anpal, Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, emanazione del Ministero. “Abbiamo effettuato una indagine conoscitiva su 700 lavoratori per cogliere la loro percezione sull’organizzazione del lavoro. Il 60% – ovvero i lavoratori maschi – non erano disposti a cambiare l’orario, il 40% – donne e giovani – sì. Con la maggioranza ci siamo trovati contro anche i sindacati, ma grazie alla collaborazione illuminata del sindaco Luciana Garbuglia – il secondo fondamentale incontro per la realizzazione di questo progetto – abbiamo allargato la fascia di disponibilità dei servizi, introducendo il rientro scolastico per far combaciare gli orari delle scuole e degli asili con quelli delle fabbriche, riaprendo i centri diurni per gli anziani, ottenendo la prosecuzione fino alle 19 dell’apertura degli ambulatori medici. La vita del paese si è modellata intorno ai nuovi orari che le fabbriche si sono date. Dopo 10 anni, il 90 per cento dei lavoratori dello stabilimento di Giuseppe Zanotti ha aderito al modello da noi proposto”.
Oggi sono 1100 i lavoratori del distretto che hanno scelto il turno unico, circa un terzo dei lavoratori del territorio, 15 le aziende che hanno adottato la nuova organizzazione. Numerosi i riconoscimenti riscossi dal progetto, fra i quali il premio Chiara Lubich per la fraternità, conferito in febbraio a Piscaglia e al sindaco Garbuglia dall’associazione “Città per la fraternità” e, a fine 2018, il “Premio innovatori responsabili” della Regione Emilia-Romagna.
Il ragionamento non si è concluso. La realizzazione di una mensa interaziendale che permetta di ricongiungere la famiglia per il pranzo e offra opportunità di lavoro alle cooperative di inserimento sociale, per la parte di somministrazione pasti e pulizie, e l’apertura degli sportelli bancari oltre l’orario di chiusura delle fabbriche, sono alcuni dei nuovi step allo studio.
“La positività attrae – afferma Piscaglia – e molti miei clienti hanno aderito al modello che propongo, e che attuo io per primo nel mio studio dove operano 30 persone, in maggioranza donne. Credo nel coinvolgimento dei lavoratori. Il loro benessere si riversa sulle famiglie e io sento fortissima la responsabilità di creare le condizioni per la felicità di queste persone e dei loro nuclei familiari”.
Il paradigma, insomma, si ribalta per introdurre sul mercato dinamiche del lavoro più rispettose della famiglia. Il progetto, approdato questa primavera alla tappa riminese del Salone della Responsabilità e dell’Innovazione sociale a Rimini, ci tornerà in ottobre per parlarne come modello esportabile anche altrove. Perché tutto questo? “Vorrei restituire al territorio parte del tanto che ho ricevuto. Come dice l’economista Stefano Bartolini nel suo Manifesto per la felicità, la prima base della felicità è il rapporto interpersonale. – conclude Piscaglia -Liberare il tempo di qualità delle persone significa dare loro più possibilità di costruire relazioni interpersonali e quindi creare le condizioni perché possano essere felici. Se con i tuoi figli non riesci a starci perché il lavoro ti porta via 16 ore al giorno, la relazione non può nascere”.
Mariaelena Forti