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Terra! Terra! Urlava l’artista

Piero Guardigli Bagli è conosciuto dai più come artista genio e come uno degli interpreti più significativi della pittura e della scultura riminese del novecento. Discendente dai Bagli, che tennero cariche pubbliche a Rimini nel periodo napoleonico e che organizzarono i moti “mazziniani” del 1831 contro l’Austria, nacque a Bologna il 22 novembre 1898. Qui, tredicenne, iniziò gli studi classici (il padre Pellegrino Bagli, complessa e singolare figura di pensatore e di uomo d’azione, ne voleva fare un medico) poi si trasferì a Rimini e successivamente ad Ancona sui banchi dell’Istituto nautico. Scoppiata la Grande Guerra, indossò l’uniforme della Marina, percorse i mari tra Oriente ed Occidente e per quattro anni visse grandissime emozioni. Fu ad Atene, Corinto, Costantinopoli, Odessa, Batum, e nell’Asia minore e poi in Spagna, a Palmas de Maiorcas, Gibilterra, Lisbona e Madera… e in queste terre trovò il fascino e la magia che lo avrebbero accompagnato nella sua fulgida vita artistica.
Finita la guerra, nel 1920, tornò a Bologna, si iscrisse alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università come uditore, anche se non amava le lezioni aride e sterili, a suo dire, di letteratura. Il vero passo di transizione, Piero lo compì, quando, tornato a Rimini per un breve periodo dopo la morte del padre, vendette il suo cappotto a Caldari, custode della villa paterna, per far quattrini. Rientrato quindi a Bologna, s’iscrisse all’Accademia delle Belle Arti, terminando il corso comune. Trasferitosi poi a Milano, scelse come specializzazione la scultura, ma, spirito avventuroso mai domo, si portò a Venezia dove terminò il secondo anno, per poi rientrare precipitosamente a Milano, presso il fratello, per mancanza di fondi.
Qui, alla celeberrima Accademia di Brera, incontrò il famoso scultore milanese Wildt (le cui opere, tra sculture e disegni, sono attualmente in mostra a Forlì) che, vedendo in lui una natura sensibilissima di artista, lo protesse come un padre, l’aiutò a terminare l’Accademia, iniziandolo al lavoro su vari materiali, tra cui il marmo. E così vennero i primi successi. È del 1926 il premio “Fumagalli” per il busto in gesso de l’Amleto. La produzione continuò con varie opere, tra cui Elsa, testa in gesso, ed una pittura con soggetto autoritratto, tutti conservati nella nostra Pinacoteca riminese. Non va poi dimenticato il suo classico bassorilievo marmoreo dal titolo Pietà materna che si trova nella Cappella dei Caduti nel Tempio Malatestiano. Il suo talento era ormai riconosciuto, anche a livello nazionale, per i numerosissimi capolavori che uscivano dalle sue mani, che sapevano fondere i temi classici con la sensibilità moderna, nel tentativo, spesso riuscito, di cogliere l’umanità e la spiritualità dei personaggi raffigurati con la ricerca di sempre nuove sperimentazioni tecniche.
Tuttavia il suo carattere di artista romantico, irrequieto, riservato, ma anche esibizionista lo portò ad intraprendere avventure mirabolanti, impossibili ed allo stesso tempo pericolose come la traversata dell’Adriatico con un mezzo nautico a vela. Questa incredibile e, a dir poco, estrema avventura, apparsa sui giornali dell’epoca ma non da tutti conosciuta, venne compiuta dal nostro “artista maledetto” su un moscone a vela con partenza da Viserbella ed arrivo a Rovigno in Croazia in sole 72 ore di veleggio.

Cronaca di
un’avventura
Andando tuttavia con ordine, l’impresa avvenne il 10 agosto 1932 e Piero Guardigli Bagli, come racconta lui stesso, lasciò il lido alle ore tre pomeridiane, sul moscone di sua proprietà Capitan Paolo e benché volesse una partenza con pochi intimi, fu salutato da una gran folla. A bordo del suo mezzo con una cassetta di viveri ed abbondante acqua fece rotta verso Nord-Est. Alcuni giovani entusiasti lo accompagnarono con due lance per circa cinque miglia, poi lo lasciarono solo. Durante il viaggio, il navigatore solitario incorse in vari incidenti: quasi subito il tenditore di uno dei cavi che univano l’albero alla parte posteriore del moscone, usato come rinforzo, si svitò e scivolò in mare, per cui occorse ripararlo con una legatura di fortuna. Prima di sera, nella luce crepuscolare, Piero incrociò l’ultima imbarcazione. Ora era solo con se stesso e il mare. Onde evitare che qualche pescecane fosse attirato dallo sciacquio sullo scafo, durante la notte, si affrettò, per sicurezza, a legare il coltello all’estremità del girone di un remo. La navigazione tuttavia solitaria, risultò piacevole, a suo dire, senza paura, anche se si era fatta notte, sotto le stelle in mare aperto. Ma un altro guaio era all’orizzonte…, la poppa affondava e occorreva pompar via l’acqua, con gran fatica, con un aggeggio rudimentale, mentre pezzi di legno del moscone andavano staccandosi ed anche la carta geografica dell’Alto Adriatico, caduta in mare, era perduta. Tuttavia, per fortuna, la maretta ed il vento sopraggiunti via via si placarono, mentre sorse il sole dell’alba seguente che bruciava le tavole dell’imbarcazione di fortuna ed anche la gola ed il capo del navigatore che doveva continuamente bere e bagnarsi con l’acqua salata. Tutto il giorno in mare, senza un alito di vento, in balia delle correnti, senza vedere terra. Ormai stanchissimo, Piero la seconda notte si addormentò profondamente, ma si svegliò di soprassalto e si legò al moscone per timore di un involontario tuffo in mare. Al mattino successivo vide un piroscafo in lontananza con la sirena spiegata, forse aveva visto l’audace traversatore, o forse no?! Per fortuna c’erano ancora acqua e cibo a bordo. Il Guardigli al terzo giorno vide una striscia di terra (saprà poi che era l’Istria) ma, essendo il crepuscolo, non approdò se non dopo aver passato un’altra notte in mare, tra banchi di delfini che si tuffavano vicino al suo moscone quasi per fargli festa. La terza notte è lunga, ma in lontananza si vedeva un faro. All’alba successiva il moscone, spinto da un venticello discreto si trovò alle porte di un paese incantevole, quasi da sogno. A due pescatori chiese quale luogo fosse. Scoprì con un po’ di rammarico essere Rovino d’Istria. Lui voleva spingersi sino a Trieste, ma alla fine si accontentò, aveva pur sempre toccato terra! La traversata era riuscita. Lo sbarco datato 13 agosto. Al ritorno Piero, sempre sul suo moscone a vela, fece tappa a Trieste, Grado, Caorle, Venezia, Porto Levante, Faro e Tolte, prima di rientrare, da dove era partito, il 26 agosto dello stesso anno, accolto dagli amici festanti che lo accompagnarono come un eroe al villino che qui la sua famiglia possedeva, in via Cenci (attualmente ancora esistente) ed il cui custode era Domenico Caldari detto “Mangon”.
Sposatosi nel 1939 a San Marino con Maria Caldari, da cui ebbe le figlie Amelia e Vittoria, visse prevalentemente a Viserbella dove continuando a lavorare e produrre, ebbe anche allievi come Aldo Col, Leo Della Rocca, Nazzareno e Tonino Tognacci che sempre lo ricordarono con affetto ed ammirazione. Recatosi poi a Brescia per lavoro, fu colpito da una grave malattia alla gola e qui decedette il 27 agosto 1946 a soli 47 anni. Al suo funerale furono presenti tantissimi amici ed il caro fratello Gastone che provvide poi a traslare le sue ossa nel 1963, al civico Cimitero di Rimini, ove tuttora l’artista riposa.

Enrico Morolli