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Terra Santa: i passi e la memoria

dalla nostra inviata

Solo 70 km separano Amman da Gerusalemme ma l’attraversamento del confine è più difficile di quanto si pensi. Da subito dobbiamo fare i conti con la famigerata sicurezza israeliana. Ci stupisce l’età degli agenti: sono ragazzini. In Israele ci sono tre anni di leva obbligatoria per gli uomini e due per le donne, spesso impiegati nei check point dei territori palestinesi, in quelli degli aeroporti di tutto il mondo e alle frontiere. Dalla depressione del Mar Morto e dalla Valle del Giordano, attraversiamo il deserto di Giuda, con gli accampamenti beduini, fino alla Città Santa.

Tra sicurezza e polemiche
Se nella tappa giordana i ritmi erano stati sostenuti ma tutto sommato le giornate erano
organizzate in modo da facilitarci il lavoro, l’arrivo a Gerusalemme è quanto meno caotico. La città ci accoglie blindata. “Blindato” è il Papa, ma anche noi giornalisti siamo praticamente “murati” in sala stampa. Ad Amman eravamo entrati in moschea col Papa e lo avevamo fotografato sul Monte Nebo da pochi metri, qui gli eventi papali sono quasi tutti off limits. Per carità, il centro stampa è all’ultimo piano della Municipality (il Comune di Gerusalemme), da dove si gode il migliore panorama della città (se non fosse per i palazzi di nuova costruzione che limitano la visuale). Però non è la stessa cosa. Se in Giordania il viaggio era proceduto nel segno del dialogo con i musulmani, qui le polemiche non mancano. L’intervento dello sceicco Al-Tamimi, che durante l’incontro interreligioso al Notre Dame Centre pronuncia parole dure contro Israele, diventa il servizio d’apertura dei tg locali. E poi, le critiche degli ebrei perché Benedetto XVI non avrebbe fatto riferimento esplicito all’Olocausto, quando già nel discorso all’aeroporto di Tel Aviv dice di essere in Terra Santa anche per «onorare la memoria dei 6 milioni di ebrei vittime della Shoah» e definisce l’antisemitismo «ripugnante».

La Gerusalemme cristiana accoglie il Papa
Ma è anche una Gerusalemme felice, soprattutto da parte cristiana, quella che accoglie il successore di Pietro. Per papa Ratzinger è il primo viaggio da pontefice in questi luoghi. Ma c’è anche chi della Terra Santa ha fatto una terra di missione permanente. «Come cristiana, è un onore avere il Papa in Terra Santa, però mi farebbe piacere che avesse più libertà di movimento e visitasse le zone più marginali, che sono quelle in cui noi di solito siamo presenti» ci dice la forlivese Federica Faggioli, membro dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, attiva in Terra Santa con il corpo non violento di pace Operazione Colomba
Messa al Getsemani. Non c’è tantissima gente: su 5mila pass distribuiti molti desistono, dissuasi dai troppi controlli per “guadagnare” un posto nell’Orto degli Ulivi. Non rinunciano i pellegrini da tutto il mondo che accompagnano il Papa in Terra Santa. <>dice una signora argentina. Paolo da Mantova sventola la bandiera italiana ed esclama: «Se qui si avrà la pace si avrà la pace in tutto il mondo!». I più entusiasti sono i cristiani di Gerusalemme. Eli, giovane catechista della parrocchia latina, nasconde la kefia ai controlli e la indossa per la processione offertoriale dal Papa. «Siamo molto contenti che il Papa sia qui in Palestina, non Israele!» puntualizza una ragazza.

La memoria e il coraggio
Tra un servizio e un articolo, riesco a ritagliarmi un paio d’ore per andare a Yad Vashem, il memoriale israeliano delle vittime della Shoah. Le voci si accavallano nei tanti video-testimonianza di superstiti lungo il percorso. Opere d’arte a volte agghiaccianti, come il plastico che riproduce le camere a gas e le persone portate a morire. Una memoria che vuole dare un nome alle vittime, attraverso un database che chiunque può arricchire di nuove storie. Di un pomeriggio denso di emozioni, mi colpisce un incontro lungo il tragitto. Salgo sul bus e mi perdo a pensare ai servizi da chiudere, ai regali da comprare, al mancato riposo… Sale una giovanissima mamma con la sua bimba. Le offro il mio posto ma lei, senza neanche pensarci, mi mette in braccio Sarah (tipico nome ebraico), mentre chiude il passeggino. È minuscola, ha soltanto un mese, e la dà in braccio a me, una sconosciuta!? È un gesto forse banale. Ma la fiducia di quella mamma, in un Paese in cui domina la paura e le misure di sicurezza sono maniacali, mi fa pensare e mi procura uno senso di pace e gratitudine.

Betlemme: oltre il muro
Poi si va a Betlemme e ci si sente “a casa”. Anche il Papa – ci dicono persone a lui vicine – si sente in famiglia tra i palestinesi. Una casa che però è anche prigione. Per chi viene qui per la prima volta, l’impatto col “muro di sicurezza”, che dal 2002 divide lo Stato di Israele dai Territori della Cisgiordania, è forte. Un muro che ha avuto conseguenze economiche disastrose per i palestinesi. Un muro che divide a metà case e famiglie. Un muro che Benedetto XVI nel campo profughi di Aida ha definito «realtà tragica», augurandosi che «non duri per sempre».

Nazaret: una Chiesa antica
L’ultima tappa della lunga settimana in Terra Santa di Benedetto XVI è a Nazaret. La cittadina della Galilea sembra pervasa della dolcezza con cui Maria ha accompagnato l’infanzia di Gesù. Sotto un sole estivo, in oltre 40mila assistono alla Messa sul Monte del Precipizio da cui, come racconta l’evangelista Luca, gli abitanti di Nazaret volevano buttare Gesù. A Nazaret, la più grande città araba di tutto lo Stato d’Israele, i cristiani sono il 17 per cento della popolazione, percentuale altissima se si considera che nel Paese sono solo il 2 per cento. Cristiani di riti diversi che qui spesso condividono anche le chiese. «La nostra è una Chiesa antica perché siamo i discendenti dei primi cristiani, però è anche una Chiesa fatta di molti giovani» è il commento di padre Afif Mahul, parroco della chiesa maronita di Haifa. Anche qui, come a Gerusalemme, il pellegrinaggio del Papa è accompagnato dai cristiani di tutto il mondo. Tra i 7mila giovani delle Comunità neocatecumenali, non poteva mancare la rappresentanza riminese! «È fondamentale per noi cristiani seguire il Papa nei suoi viaggi» dice Gioele. «Poter essere nei luoghi in cui è vissuto Gesù è una cosa che ci prende molto» aggiungono “i due Stefano”. «I cristiani di qui hanno bisogno del nostro sostegno» conclude Marcella.

Arrivederci a Gerusalemme
Il volo del Papa è appena decollato. Fra poco – dopo gli immancabili controlli in uscita – partirà il nostro. Davanti al gate dell’Aeroporto di Tel Aviv, mi viene in mente il tipico saluto degli ebrei che si incontrano fuori da Israele:“L’anno prossimo a Gerusalemme!”. E, tra me e me, penso:“Speriamo!”.

Ada Serra