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Sui passi dei giovani

L’Eurostat dice che in Italia sono 7 milioni i ragazzi tra i 18 e i 34 anni che vivono in casa con i genitori.

Magra consolazione: non li chiamano più “bamboccioni” ma “mammoni”. La Caritas afferma che il 10% di chi vive in una condizione di povertà ha meno di 34 anni, mentre nel 2007 questa percentuale si fermava all’1,9. Grazie ai fondi dell’Unione Europea, aumentano le aziende agricole dei giovani e raggiungono risultati economici doppi rispetto a quelli tradizionali. Secondo Coldiretti, quasi il 10% delle nuove imprese condotte da under 35 nate nel secondo trimestre 2016 opera in agricoltura. Due recenti ricerche sociologiche “Dio a modo mio” e “Piccoli atei crescono” vengono riprese per raccontare, attraverso dati raccolti con criterio scientifico, le attese dei giovani sulle questioni ultime della vita e su Dio. In questi giorni i media riferiscono di giovani che abitano le diverse dimensioni della vita in modi differenti, se non contrapposti, facendo nascere non poche domande.

Veramente invece che porre domande sarebbe meglio lasciar parlare i giovani per ascoltarli ben oltre un questionario sociologico. Chi accompagna i giovani nei loro percorsi di libertà e di dignità? Chi, ad esempio, si rende conto che nel “mammone” e nei suoi genitori ci può essere anche una sofferenza? Chi aiuta i giovani a rompere la solitudine che rende pesante e a volte insopportabile la povertà intesa come fallimento a fronte di una ricchezza ostentata come successo? Ascoltare un “mammone”, un trentenne povero, un imprenditore agricolo poco più che ventenne, un piccolo ateo che cresce è un esercizio di umanità che i media provocano, più o meno consapevolmente, attraverso la narrazione dei fatti. Ascoltare non è un atto consolatorio: è un atto di amore in cui il realismo non viene mai trascurato proprio perché rappresenta il terreno da cui parte l’appello alla responsabilità. Fino a quando, allora, mancheranno adulti liberi e capaci di leggere e sostenere la domanda di libertà e di dignità dei giovani? Fino a quando mancherà un dialogo inter-generazionale capace di essere un dialogo ri-generazionale per l’una e l’altra età? Le denunce vicendevoli tra generazioni non aiutano, ma soffocano le speranze. E allora, chi si mette sui passi dei giovani?

di Paolo Bustaffa