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Sorridere grazie alla tradizione italiana

Il soprano Salome Jicia, Dorliska

osservatorio musicale

Al Rossini Opera Festival ripreso l’allestimento di Martone del Torvaldo e Dorliska, opera semiseria su libretto di Sterbini

PESARO, 12 agosto 2017 – Uno spettacolo che rende omaggio alla migliore tradizione teatrale italiana, grazie a una regia, di Mario Martone, senza riscritture arbitrarie e che favorisce la comprensibilità dell’opera; a una scena pressoché fissa, bella ed elegante, concepita da Sergio Tramonti; e ai vivaci costumi, di antica ispirazione senza tempo, firmati da Ursula Patzak.
Con Torvaldo e Dorliska veniva collaudato – nel dicembre 1815 – il tandem Gioachino Rossini-Cesare Sterbini: solo tre mesi dopo avrebbe siglato niente meno che Il barbiere di Siviglia.
Il ROF ha giustamente recuperato, seppure con interpreti diversi, tale riuscitissima messinscena del 2006, capace di valorizzare debitamente anche la componente comica di quest’opera semiseria. Paradigmatico in tal senso è il personaggio di Giorgio, pavido trasformato in ribelle, costruito con molta cura da Sterbini: gli attribuisce timide aspirazioni rivoluzionarie (la lezione di Beaumarchais, su cui è costruito Il barbiere, si percepisce pure in questo libretto), coniugate alla furbizia e ai sotterfugi tipici di tante figure della più tradizionale commedia dell’arte.

Il soprano Salome Jicia, Dorliska
Il soprano Salome Jicia, Dorliska

Il direttore Francesco Lanzillotta ha saputo ben sottolineare le caratteristiche musicali rossiniane, valorizzando le ascendenze di quella che forse è la partitura più mozartiana del Pesarese, per l’organizzazione strutturale e, ancor più, per il sapiente uso del contrappunto. Al tempo stesso, ha felicemente evidenziato quegli autoimprestiti (dal Tancredi) e quelle anticipazioni (un segmento fra i più icastici della sinfonia di Cenerentola, mentre l’aria di follia del baritono diventerà, un anno dopo, il duetto fra Otello e Jago) che, nelle partiture di Rossini, hanno sempre il sapore non di una momentanea pigrizia creativa, ma di un inesausto laboratorio. Peccato solo che l’Orchestra Sinfonica G. Rossini non sia apparsa sempre scattante come il vorticoso andamento musicale avrebbe richiesto: ottoni talvolta poco adamantini e archi un po’ poveri di suono, che si aggiungevano a una realizzazione del basso continuo non sempre incisiva. Nemmeno il contributo del Coro del Teatro della Fortuna (preparato da Mirca Rosciani), qui nella sola componente maschile, è apparso troppo significativo.
Fortunatamente il cast aveva invece più di un motivo d’interesse. Il tenore Dmitry Korchak ha impresso al personaggio di Torvaldo vigorosa baldanza vocale: sempre a suo agio in una scrittura piuttosto centrale e, ancor più, negli sfoghi in acuto, affrontati con massima naturalezza e straordinaria forza di penetrazione. Il soprano Salome Jicia era la sua fedele e innamorata Dorliska, concupita dal perfido Duca. Grazie a una voce caratterizzata da un certo vibrato, in teoria non del tutto idoneo a un personaggio piuttosto stilizzato, la cantante georgiana ha impresso notevole statura drammatica al personaggio, magari a scapito del versante elegiaco. Con la sua fisicità massiccia ma tutt’altro che minacciosa (anzi, incline al bonario) il baritono Nicola Alaimo ha disegnato – purtroppo con un’emissione un po’ scompaginata – un Duca dalla psicologia contraddittoria, privo degli accenti sinistri propri dell’anima nera della vicenda e attraversato da qualche momento di dubbio.
Carlo Lepore è apparso perfettamente calato nelle vesti del custode Giorgio, che tenta di opporsi alle angherie del Duca sobillando servi e contadini alla ribellione. Ottime capacità di attore (nonostante un braccio infortunato), voce sonora, fraseggio sempre ben articolato: ne scaturisce un personaggio a tutto tondo, che travalica le consuete stilizzazioni del ‘basso buffo’. Nel ruolo mezzosopranile di Carlotta, la brava Raffaella Lupinacci ha sfoderato precisione e voce di ragguardevole presenza. Peccato invece che l’altro comprimario, l’opaco baritono Filippo Fontana, nei panni dell’armigero Ormondo, non abbia saputo cogliere l’occasione offerta dalla cosiddetta “aria del pero” per animare uno dei momenti più comici dell’opera.
Giulia Vannoni