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Sindrome da rientro

Settembre 2018. Andrea, 44 anni, riccionese, sposato, padre di tre figli, è appena rientrato dalle vacanze. “Eravamo stati in montagna, quindici giorni di rilassamento totale: sole, passeggiate, natura, cibo, famiglia e amici. Non potevo chiedere di meglio”.
Giusto qualche ora per disfare le valigie, sistemare un po’ casa e via subito al lavoro.
“La mattinata era trascorsa abbastanza bene. I soliti ritmi un po’ appannati da rientro, ma tutto sommato ero tranquillo e sereno. Dopo la sosta per il pranzo, però, ho iniziato ad avvertire i primi problemi alla testa. Credevo si trattasse di qualcosa legata alla digestione e non ci ho fatto molto caso. Nei giorni successivi, invece, i problemi si sono ampliati: oltre a questo cerchio fastidiosissimo, ho iniziato ad avere mal di stomaco, grande fiacca e la notte non riuscivo più a chiudere occhio”.
Un quadro clinico che lo convince a sottoporsi ad alcuni esami.
“Credevo di avere contratto qualche malattia, ammetto che ho pensato anche a una cosa grave, anche perché fino a quel momento, al massimo, avevo preso un’innocente influenza. Fortunatamente sia le analisi del sangue sia gli altri esami strumentali a cui mi sottoposi diedero tutti esito negativo. Il problema è che continuavo a non stare bene”.
Finché una sera, a tavola, scopre l’origine dei suoi mali.
“Eravamo a una cena con la nostra solita compagnia. Con noi c’erano anche due coppie che non conoscevo. Tra una portata e l’altra mi chiedono come sto e inizio ad elencare tutti i miei sintomi. Ad un certo punto, uno di questi nuovi amici mi dice: «Secondo me soffri di sindrome da rientro». Lì per lì ci rimasi anche male, credevo mi stesse prenendo in giro. Poi, però, mi spiegò per filo e per segno quello che avevo senza sapere nulla di me. Mi aveva scattato una fotografia perfetta. Poi ho saputo che era uno psicologo. Fatto sta che mi disse cosa avrei dovuto fare e nel giro di una settimana tutto scomparve”.
Ma davvero esiste una sindrome da rientro?
“Certo che esiste. – spiega la psicologa riminese Paola Lanciai – In America la chiamano «holiday blues, di solito è quella che segue la sindrome da partenza che precede la sindrome da adattamento, che il più delle volte si accompagna alla sindrome da bagaglio a mano, ovviamente abbianata a quella da fuso orario. Tristezza, malumore, calo di concentrazione, svogliatezza, scarso appetito, insonnia e difficoltà a iniziare la giornata sono tutti campanelli d’allarme. Il brusco passaggio dal clima di relax vacanziero ai ritmi frenetici dell’attività lavorativa e la delusione per il termine della vacanza si riflette sul piano psico-somatico e si manifesta con i sintomi che abbiamo descritto prima”.
Insomma, riprendere i ritmi e la routine di tutti i giorni non è così facile. Chi soffre di sindrome da rientro di solito si stabilizza tra i dieci e i trenta giorni.
“Il fatto è che in vacanza si vivono non solo ritmi inconsueti, ma si sta anche più a contatto con la famiglia e con gli amici e questo porta a galla aspetti che durante la quotidianità rimangono sopiti. Se poi le relazioni sono state soddisfacenti, bene. Il problema nasce nel caso contrario perché si riportano a casa i conflitti esplosi”.
Una soluzione, però, per combattere questa sindrome c’è.
“Servono piccoli accorgimenti. Il primo è quello di cercare un rientro al lavoro graduale. Tornare in città un giorno prima della fine delle ferie, per esempio, permette di riabituarsi alle temperature e ai ritmi cittadini dando all’organismo la possibilità di adattarsi gradualmente all’ambiente, all’alimentazione e alle normali attività lavorative”.
Anche sul lavoro bisognerebbe seguire alcuni piccoli accorgimenti.
“L’ideale sarebbe avvicinarsi alla propria scrivania senza esagerare, con calma, evitando un’immersione totale nel lavoro. Cosa non semplice, soprattutto se si lavora come dipendente. Allora in questo caso il trucco è quello di staccare, fare una piccola pausa di cinque, dieci minuti ogni due ore”.
Un altro aspetto fondamentale, e pochi ci pensano, per affrontare al meglio la sindrome da rientro è l’alimentazione.
“Soprattutto se in ferie si è ecceduto. Vanno bene piccoli pasti durante l’intero arco della giornata, il cervello ha bisogno innanzitutto di zucchero. Perfetti sono i piatti semplici, poco elaborati e ben cotti, in modo particolare se si consuma verdura. La frutta, invece, al contrario di quello che siamo abituati a fare sarebbe meglio mangiarla lontano dai pasti. Un aiuto all’umore, per esempio, risulta la melatonina che si può trovare nella buccia dei chicchi d’uva. E poi, naturalmente, serve bere tanta acqua mentre bisogna evitare cibi che possano appesantire come legumi, fritture, pizza e cibi piccanti”.
C’è poi un’altra cosa molto consigliata.
“Se durante le vacanze avete coltivato una buona abitudine come fare una passeggiata, oppure leggere un libro, o avete scoperto piacevoli hobby dovete cercare di mantenerli e praticarli durante il vostro tempo libero. Continuare a dare spazio a sé può dare quel senso di beneficio che normalmente si sperimenta quando siamo in vacanza”.