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Senza sorridere troppo

Le metamorfosi di Pasquale - Ph Stefano Binci (1)

Le metamorfosi di Pasquale rappresentate al XVIII Pergolesi Spontini Festival nell’allestimento firmato da Bepi Morassi con un giovane cast 

JESI, 22 settembre 2018 – La seconda vita delle Metamorfosi di Pasquale è ricominciata lo scorso gennaio al Teatro Malibran di Venezia: la stessa città dove questa ‘farsa giocosa per musica’ aveva debuttato nel 1802, prima di essere inghiottita nel cono d’ombra che ha avvolto la produzione giovanile di Gaspare Spontini. Del resto di lì a poco, in conseguenza dei modesti esiti, il compositore di Maiolati avrebbe lasciato l’Italia per la Francia, dove finalmente coglierà il meritato successo attraverso titoli di carattere serio.

Il recente approdo in palcoscenico di quest’opera appare tanto più sorprendente perché la partitura sembrava perduta: è invece riemersa, insieme ad altre di Spontini, due anni fa nel castello di Ursel, nelle Fiandre. Adesso l’allestimento veneziano, pur con gli interpreti cambiati, è stato ripreso – per una serata – a Jesi, dove da diciotto anni esiste un festival dedicato alle due glorie locali: Pergolesi e, appunto, Spontini (Maiolati si trova ad appena qualche chilometro di distanza). Difficile fare pronostici sulla futura circolazione delle Metamorfosi di Pasquale: si tratta di un lavoro nell’insieme godibile, che rappresenta un ottimo esempio di quel gusto tardo settecentesco – ma all’epoca già fuori moda – espressione di una scuola napoletana che aveva trionfato sui palcoscenici d’innumerevoli città europee. I versi di Giuseppe Foppa, librettista che deve la sua notorietà alle tre farse scritte per Rossini, offre il consueto campionario da opera buffa (alla base della vicenda c’è una coppia di giovani aristocratici il cui amore viene ostacolato dal padre di lei, sebbene i tre personaggi principali siano quelli di estrazione popolare), che la musica riesce a impreziosire con non poche raffinatezze sul piano armonico, dove – con il senno di poi – sembra di scorgere un’eleganza formale segno dei nuovi tempi.

Il regista Bepi Morassi ambienta la vicenda in un’epoca vagamente liberty (firmano scene e costumi, realizzati dall’Accademia di Belle Arti di Venezia, rispettivamente Piero De Francesco e Laura Pigozzo) dove i personaggi s’incontrano al caffè: una soluzione plausibile, tanto più che l’intera azione si svolge fuori scena. L’evidente retrogusto napoletano è poi funzionale all’idea della farsa sottesa dal libretto e, seppure indirettamente, stabilisce un collegamento mentale con la musica.

Cast interamente giovane e ben affiatato. Il protagonista Baurzhan Anderzhanov interpreta con buona dizione un convincente Pasquale, senza dubbio il personaggio più originale, che si spinge oltre la superficiale apparenza del servo sbruffone e sciocco (al suo rientro, dopo vani tentativi di cercar fortuna, gli fanno indossare i panni del marchese e, ingenuamente, lui pensa di trarre vantaggio dall’inaspettata trasformazione): il basso kazako riesce a tratteggiare una figura di perdente, con qualche venatura malinconica che sconfina nel patetico. Primadonna è Lisetta, la classica serva astuta e calcolatrice: ruolo affrontato dal soprano Carolina Lippo con disinvoltura scenica, verve comica e sicurezza in una scrittura moderatamente virtuosistica. Nonostante qualche limite timbrico, il baritono Davide Bartolucci ha saputo imprimere all’intraprendente servo Frontino tratti di baldanza, scandita da un certo cinismo. Nel ruolo più piccolo della nobile Costanza si è fatta apprezzare per brio e correttezza il soprano Michela Antenucci. Il tenore Antonio Garés, un marchese piuttosto disorientato sul da farsi, ha sfoderato voce gradevole, pur con qualche disomogeneità d’emissione durante la sua aria. Completavano il cast Carlo Feola, nei panni del Barone, altro ruolo da basso, e il tenore Daniele Adriani nei duplici panni del cavaliere e del sergente.

Ben corrisposto dall’Orchestra Sinfonica Rossini, Giuseppe Montesano ha saputo imprimere dinamismo e vivacità alla musica. Tanto da far dimenticare che la cifra comica è forse quella meno congeniale al talento di Spontini.

Giulia Vannoni