Home Cinecittà Il senso ultimo del documentare

Il senso ultimo del documentare

Per la giornalista Marie Colvin, morta in Siria nel 2012, durante un drammatico reportage dalla città di Homs, martoriata dai bombardamenti, l’obiettivo fondamentale era la storia, principalmente la storia della gente comune, trascinata suo malgrado nei sanguinosi conflitti che attanagliano il mondo. Da giornalista d’assalto qual’era puntava alle grandi interviste, come quella realizzata a Gheddafi, ma tutta la sua tensione informativa si posizionava in primis in direzione della società civile e alle miriadi di storie trattate il più delle volte frettolosamente, ed invece vera forza di un giornalismo d’inchiesta che guarda alla verità dei fatti, con buona pace di chi oggi cerca di affossare in ogni modo la professione.

Alla reporter è dedicato il film A private war con Rosamund Pike nel ruolo impegnativo della corrispondente, privata di un occhio durante un reportage in Sri Lanka: l’attrice britannica mette in scena il coraggio di Marie ma anche la sua personale “guerra privata” con i demoni che la ossessionano, sotto forma di incubi ricorrenti, causati dal contatto con l’orrore nel mondo, visto con i propri occhi e difficile da cancellare. Corrispondente di guerra per il “Sunday Times” dal 1985 al 2012, Marie Colvin è una figura di tutto rispetto nel lungo elenco dei giornalisti periti nel corso della loro ricerca della verità: il film ne racconta l’impegno professionale ma anche il tormentato privato esistenziale, in un procedere di eventi non cronologici per dare spessore ad un racconto drammatico e avventuroso, una storia di coraggio e di ossessioni per raggiungere le notizie nascoste al mondo.

A fianco della Pike c’è Jamie Dornan nel ruolo dell’inseparabile fotografo free-lance Paul Conroy, e Tom Hollander, Stanley Tucci e Greg Wise.