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Santarcangelo, Pazzaglia e i suoi campi… asilo

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Una distesa di 6 mila albicocchi, 2 mila ciliegi, altrettanti ulivi, un migliaio di susini e 2 mila viti. La collina di Montalbano così rivestita è più bella e lo sguardo di Romano Pazzaglia è attento anche all’estetica. Loro, i suoi nuovi operai, 9 richiedenti asilo approdati in zona da poco, sono ordinati, puliti, meticolosi. Pazzaglia dice che non poteva capitare meglio. “E pensare che li ho conosciuti per caso”.
È dal 1995 che Pazzaglia per lavorare i suoi 30 ettari di terra tra le campagne di Santarcangelo e Savignano, si avvale dell’aiuto di personale extracomunitario, in genere albanesi, rumeni e bulgari. Questa volta i suoi collaboratori non sono solo extracomunitari ma anche profughi, o meglio, richiedenti asilo.  Alle spalle hanno storie dolorose, inconcepibili per un occidentale e anche insospettabili se ci si ferma ai larghi e apparentemente spensierati sorrisi con i quali si presentano.
“Il loro modo di porsi mi ha colpito – racconta l’imprenditore – ed è anche il motivo che me li ha fatti incontrare”. Trovandosi spesso di passaggio in auto davanti alla casa colonica di Ribano, località confinante con Montalbano,  dove l’associazione “Croce d’oro”  ha accolto dallo scorso mese di marzo un gruppo di profughi, tutti giovani sotto i 35 anni provenienti per lo più da Bangladesh e Pakistan, Pazzaglia non ha potuto fare a meno di accorgersi di loro perché i ragazzi lo salutavano ogni volta alzando il braccio, pur senza conoscerlo. “Allora un bel giorno ho deciso di fermarmi, ho parcheggiato nell’aia davanti casa, mi sono presentato e gli ho chiesto se avevano bisogno di lavorare. Non aspettavano altro”.

Li ha assunti in blocco. È stato, ed è tuttora, necessario l’affiancamento con gli addetti più esperti perché i neoassunti non conoscevano il lavoro, e oggi sono loro che si occupano di raccogliere la frutta e lavorarla per farla trovare pronta ai grossisti che acquistano le merci da mettere sul mercato. “Ho iniziato facendogli diradare le albicocche. Tra poco attaccheremo con le ciliegie, qui la raccolta sarà più delicata, ma sono tranquillo. Anche se inesperti, non gli manca la voglia di lavorare, ed è quello che conta”.
Un incontro più che fortunato, tanto che Pazzaglia avrebbe già individuato un paio di persone che potrebbero anche continuare a lavorare per lui al termine della stagione.  “Sono ragazzi eccezionali, seri, rispettosi, responsabili. Vanno d’accordo tra di loro, scherzano. Non toccano la merce, quando offro loro una bibita – perché non bevono vino nè alcol – devo insistere per fargliela accettare. E sono anche attenti nei confronti di una loro collega donna, le sottraggono i pesi quando possono”.
Oltre che con l’inesperienza, Pazzaglia ha dovuto fare i conti con la lingua. I lavoratori non parlano italiano e a fatica masticano l’inglese. Così due pomeriggi vengono destinati allo studio.
Intanto i richiedenti asilo, che nel frattempo sono saliti a 14, stanno attendendo il verdetto della commissione territoriale della Prefettura. La domanda potrebbe essere accolta o diniegata, cosa che accade nel 40% dei casi, dopodichè scatta il rimpatrio, spiega Emanuele Broccoli, direttore dell’Asp del Rubicone che ha in carico la gestione della quota di accoglienza per il territorio. Invece chi viene accolto deve lasciare la struttura destinata alla prima accoglienza e, tempo venti giorni,  trovarsi una casa e un lavoro.

Mariaelena Forti