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Roller Derby, l’emancipazione corre sui pattini

Dimenticate frasi come “gli sport di contatto non sono roba per femminucce”. C’è uno sport, infatti, che fa del contatto fisico, anche duro, la propria caratteristica fondamentale, assieme ad agilità, coordinazione ed equilibrio. Il tutto al femminile.

È il Roller Derby, sport praticato su pattini a rotelle che, dopo una genesi a stelle e strisce, si è diffuso, ed è in costante crescita negli ultimi anni, un po’ in tutto il mondo. Anche in Italia, e anche nella nostra Rimini. Ma facciamo un passo indietro: di cosa si tratta esattamente?

Alla scoperta del Roller Derby

Nacque negli anni ’30, totalmente diverso da com’è ai giorni nostri. Solo nel 2001, in Texas, si formò la prima vera squadra e da lì a poco iniziarono a nascerne altre. In Italia nacquero nel 2011 a Milano le “Harpies”, ottenendo grande risonanza. Il richiamo ebbe tanto successo che si formarono persino delle squadre maschili.

Si tratta di uno sport di contatto su quad (pattini con rotelle non in linea) e la sua particolarità è che non prevede l’uso di una palla o di nessun’altro oggetto, ma è puramente fisico. Si pratica su un campo da gioco detto Track, che ha forma ellittica. Ogni squadra deve essere composta da almeno undici giocatrici, e cinque sono quelle che si dispongono per ogni azione.

Come funziona?

Ogni squadra ha una giocatrice, detta Jammer, il cui ruolo è superare, pattinando in pista, il gruppo di difensori avversari (che sono quattro, detti Blockers), anch’essi sui pattini. A loro volta, i difensori cercheranno di impedire al Jammer di passare, formando un muro (il Pack).

Se la Jammer riesce a superare i difensori e a compiere un giro completo della pista, segna un punto. La stessa cosa accade contemporaneamente con la squadra avversaria: alla fine, chi ha segnato più punti, vince. La partita (bout), ha una durata di un’ora, divisa in due tempi da trenta minuti ciascuno.

Le azioni (jam), invece, durano due minuti. Come anticipato, è uno sport di contatto: i difensori, per impedire il passaggio del Jammer, possono usare un certo grado di contatto fisico, ovviamente con regole precise, per garantire la sicurezza dei giocatori.

Non si può colpire con la testa, con i gomiti, con le mani, con le ginocchia, con i piedi e non si può colpire la spina dorsale e collo. Si possono usare però le spalle, le braccia, i fianchi, le cosce e il sedere. Inoltre, si gioca con tanto di caschi, ginocchiere, polsiere, gomitiere e paradenti. Non si basa assolutamente solo sulla forza fisica, servono anche agilità, tecnica, equilibrio e tanta concentrazione.

Rimini… in pista

Il Roller Derby è uno sport in crescita in tutto il mondo. E, nel suo piccolo, Rimini vanta un bel primato: riminesi, infatti, sono le Stray Beez, la prima squadra di Roller Derby nata in Emilia Romagna, tutta al femminile. Abbiamo incontrato alcune delle sue giocatrici di punta, per farci raccontare questa particolare realtà sportiva: Silvia Battisti alias “Sheridan”; Valentina Pretelli “Tre-No Mercy”, senza togliere niente all’allenatore che le segue in questa avventura: Manuel Ottaviani “Gamba di legno”.

Ragazze, cos’è per voi il Roller Derby?

“È una valvola di sfogo dello stress settimanale, e della vita in generale. È uno sport che mi ha conquistata totalmente da tutti i punti di vista. È un modo per stare insieme a persone simili ma allo stesso tempo diverse da te. È il migliore sport che abbia mai visto e praticato”.

Come lo descriveresti a chi ne è estraneo?

“È uno splendido sport di squadra e di contatto. C’è chi lo paragona al rugby, solo per il fatto che il contatto fisico è funzionale al gioco per stabilire una posizione di vantaggio (o difenderla), ma credo calzi di più la descrizione di chi lo definisce come tentare di giocare a scacchi in equilibrio su un filo mentre ti tirano addosso dei mattoni! In sostanza è uno sport molto tecnico e ma anche molto d’intuito, altamente dinamico e per questo con una richiesta sia fisica che mentale molto elevata.

E non va dimenticato l’aspetto comunitario di questa disciplina, che nasce come sport di emancipazione e conserva ancora lo stesso spirito inclusivo e di mutuo aiuto e che, non solo sul campo, lavora costantemente per abbattere barriere e preconcetti”.

A chi è rivolto?

“La cosa bella di questo sport è che nasce come un messaggio di emancipazione femminile, perciò accoglie chiunque. È totalmente privo di pregiudizi e antirazzista, ed è rivolto veramente a tutti, a prescindere da sesso, età, etnia o costituzione fisica. Purtroppo in Italia ancora non sono presenti squadre giovanili, perciò al momento esiste solo una ‘macro area’ senior che prende atlete dai 18 anni in su”.

Quando è nata la vostra squadra?

“Le Stray Beez esistono da cinque anni qui a Rimini, e siamo la prima squadra nata in Emilia Romagna (a seguire sono poi nate anche a Bologna e Parma). Il nome significa ‘api randagie’, legandosi a un concetto di collaborazione che hanno le api in natura, di operosità e unione fondamentale che dovrebbe esserci in qualsiasi squadra. Il ‘randagie’, invece, nacque dal fatto che nei primi anni era pressoché impossibile trovare una pista fissa dove allenarsi qui a Rimini, perciò in nostri erano diventati allenamenti nomadi qua e là”.

Non solo sport, però. Collaborate con altri tipi di associazioni?

“Sì, siamo affiliate a UISP per un discorso prettamente assicurativo, ma abbiamo collaborato spesso con associazioni come Non Una Di Meno, Green Peace, realtà che lavorano nel sociale. Abbiamo avuto collaborazioni anche con centri come Casa Madiba e Grotta Rossa, oltre ad alcune cooperative sociali della zona”.

Maria Rosaria Spina