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Rimini, forse sarebbe diversa

Giancarlo De Carlo (1919-2005) non è stato solo uno degli architetti che, nel bene o nel male, nel secolo scorso ha elaborato uno dei tanti piani per Rimini.
L’architetto De Carlo ha portato a Rimini – a cavallo del 1970 – una nuova cultura (etica): oltre alla trasparenza delle scelte che riguardano il territorio, la passione che ogni cittadino deve avere per la propria città.

Cambiare Rimini,
un libro, una storia

Il libro di Fabio Tomasetti “Cambiare Rimini – De Carlo e il Piano del Nuovo Centro (1965-1975)” – racconta in modo esemplare quella storia; ed esce a proposito, in un momento in cui, dopo tre anni di lavoro, il Forum Rimini Venture, definendo gli obiettivi strategici per la Rimini del futuro, ha messo in atto e ripropone quella stessa cultura della partecipazione.
Tomasetti, tramite elementi di cronaca, atti ufficiali, interviste… dà il giusto colore all’entusiasmo che in quel periodo ha invaso la città. Molto per le idee innovative di De Carlo e il suo modo di esprimerle – assemblee fiume in ogni dove: consigli di quartiere, scuole, circoli, sezioni di partito, piazze, ecc. – ma anche per l’aria nuova che il ’68 faceva anche qui respirare.

I cittadini proprietari
della loro Città

Per De Carlo la città è l’evento più complesso e sollecitante che si conosca al mondo, in cui tutto è rappresentato al più alto livello emotivo, un campo di educazione di smisurata ricchezza… per cui le decisioni che la riguardano non possono essere prese (possedute) da pochi come tradizionalmente avviene, contando sull’indifferenza – spesso incomprensione – dei cittadini, ma sono costoro i proprietari del loro modo di vivere, della forma e del futuro della loro città (La piramide rovesciata).

Le idee
di De Carlo

Quando si mettono in discussione le leve del potere, bisogna attendersi ogni tipo di strumentalizzazione. Le idee di De Carlo sono sì rivoluzionarie, ma nel senso di dare voce ai più deboli prima informandoli, di anteporre l’interesse della collettività a quello dei soliti pochi; per la sollecitazione alla libera fruizione dei luoghi della città, infrangendo le aree di segregazione, in cui i cittadini loro malgrado, e spesso senza saperlo, sono relegati. Città come organo che include e non esclude,che non ammette aree di separazione – campagna, periferia, città, marina… E ancora: zone residenziali (dormitorio), aree artigianali e produttive, aree commerciali, aree direzionali, verde, ecc. Questo significa anche critica all’urbanistica vigente (e al PRG adottato nel ’65), per la sua visione (e divisione) ragionieristica e burocratica della città.

Una Città
aperta

De Carlo è stato il primo a raccontarci di una città aperta a tutti, globale, libera dalla dittatura dell’auto, a misura d’uomo… Ci ha mostrato come a poco servano le “trovatine consolatorie” delle isole pedonali inventate qua e là se non viene prefigurato un modo nuovo di intendere la città, prospettando contemporaneamente una società “diversa”, più attenta all’altro, disponibile alla conoscenza.
Con indagini, diagrammi e schemi, ha mostrato come la “trama” delle strade del centro storico di Rimini è un “valore” al di là della qualità delle singole costruzioni.
Molti anni dopo, il cardinal Martini in un passaggio del suo memorabile discorso al momento di lasciare come Vescovo Milano (Paure e speranze di una Città – Discorso al Comune di Milano 28 giugno 2002), afferma: “Servirebbe poco rendere i centri urbani più belli ed attraenti dal punto di vista architettonico se poi fossero spiritualmente e culturalmente vuoti. Il futuro della città dipende molto di più dal costume e dalla cultura dei cittadini…” e ancora: “proprio in forza della sua complessità localizzata, la città permette tutta una serie di relazioni condotte sotto lo sguardo e a misura di sguardo, e quindi al ravvicinato controllo etico, e consente all’uomo di affinare tutte le sue capacità.”
Mentre Rimini diceva no,

in Europa…
In questi mesi, a proposito di città a misura d’uomo, città senz’auto, città verde… fra i numerosi incontri formativi organizzati dal Forum del Piano Strategico, sono state esposte le esperienze di alcune città del Nord Europa diventate modello di riferimento per la nuova cultura delle città (Copenhagen, Goteborg, Friburgo…), “modelli” costruiti grazie al lavoro ed alla grande opera d’informazione iniziata a metà degli anni ’70, mentre a Rimini il Piano De Carlo veniva condannato alla morte civile (Piano comunista, maoista, sovietico; affossatore della cultura della famiglia…).
Ma non capita tutti i giorni che un professionista chiamato da una amministrazione rivolga costantemente l’appello ai cittadini sulla necessità del controllo della collettività sulle scelte di Piano, che non sono difendibili da sole.
De Carlo sa che la partecipazione presuppone una preparazione culturale ed una qualche conoscenza dei fenomeni urbani che mediamente i cittadini, compresi gli amministratori, non hanno.
Soprattutto è in lui vivo l’ammonimento di non farsi attrarre in “gorghi retorici” come invece fatalmente è avvenuto.

Nessun lieto
fine

Così, come tante belle storie, anche la vicenda del Piano De Carlo non ha il lieto fine che si sarebbe meritato, che la città, i riminesi, avrebbero meritato; anche qui Tomasetti con la sensibilità che lo distingue, descrive ogni momento, cercando di esplorarne ragioni e responsabilità, sempre con l’ausilio e l’esposizione di atti originali.
È una storia moderna ed attuale, che riguarda tutti: il testo è coerente con la fatica, la caparbietà, la meticolosità, la professionalità investite dall’arch. De Carlo per la redazione del suo progetto per Rimini e ben prospetta l’idea di una nuova società, di nuovi stili di vita.
Ufficialmente il Piano è stato affossato da quasi tremila osservazioni, ma la realtà che anche Tomasetti prova ad indagare, non è così.
Anche la Chiesa Riminese attraverso diversi parroci, presenta le sue osservazioni; significativa quella firmata da don Aldo Amati in qualità di rettore del Seminario che se non altro, accanto al luogo comune della richiesta di mantenere mano libera sui propri immobili, ha il pretesto di farlo in merito di un superiore, laico e religioso, indiscutibile “Bene Comune” mai da nessuno all’epoca nominato.
Così come significativa è la breve lettera di De Carlo inviata al Sindaco dopo aver saputo casualmente dell’abrogazione del suo Piano e che Tomasetti riporta a mo’ di dedica del suo testo:
“Caro Paglierani, ho saputo indirettamente che il mio Piano è stato abrogato.
Mi dispiace per me, per voi e per Rimini; ma d’altra parte sono sicuro che la sua immagine rimarrà nel pensiero dei riminesi a lungo”.

Nedo Pivi