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Rimini cos’è quattro secoli dopo

Il modo migliore di conservare, è mostrare al pubblico”. La Biblioteca Gambalunga di Rimini ha preso così sul serio l’assunto del bibliotecario Luigi Crocetti, che per “riassumere” 400 anni di storia, della sua storia, ha inteso realizzare una mostra che non fosse un’esposizione di cimeli o di “pezzi da novanta”, ma rappresentare i momenti più importanti della storia della città di Rimini, prima che questa diventasse capitale balneare. Un viaggio a ritroso – in realtà una macchina del tempo capace di far capolino nel presente e per gettare qualche luce anche sul futuro – nei secoli attraverso i codici, le carte d’archivio e persino le fotografie patrimonio della Gambalunga.

Per documento e meraviglia. Una storia lunga 400 anni, celebra dunque i quattro secoli della Biblioteca ma con un’angolatura del tutto particolare, suggestiva e affascinante. Il percorso, curato dalla direttrice Oriana Maroni, con la collaborazione per la sezione storica dello scrittore (e per anni direttore della Gambalunga) Piero Meldini e con il contributo di Maria Cecilia Antoni e Nadia Bizzocchi, è allestito nelle sale antiche e nella Galleria delle Immagini, fino al 26 gennaio 2020, in un’ideale chiusura delle celebrazioni che si sono succedute nel corso del 2019.

Lo spendore Malatestiano

“Rimini ha vissuto momenti importanti ben prima del XX secolo, quando si è affermata per merito del turismo” fa notare Piero Meldini.

Uno di questi periodo “d’Oro” è certamente quello Malatestiano, e in particolare il periodo della signoria di Sigismondo Pandolfo Malatesta (1417-1468). Pochi oggetti in mostra, in questa sezione, ma di grande valore iconico. Il codice della Regalis historia sulle origini della famiglia Malatesta che aveva la pretesa di discendere da Scipione l’Africano. Il De civitate Dei, scritto per Pandolfo Malatesta dall’amanuense Donnino di Borgo San Donnino, e l’editio princeps dell’incunabolo De re militari di Roberto Valturio. Dedicato a Guido da Montefeltro è il Comentario de’ gesti e fatti e detti dello invictissimo Signore Federigo Duca d’Urbino, scritto da Vespasiano Da Bisticci. Per gentile concessione di Crédit Agricole Italia, sarà inoltre in mostra l’elegantissimo codice di Astronomicon di Basinio da Parma con dedica a Malatesta Novello, fratello di Sigismondo Pandolfo. Si tratta del primo poema astronomico dell’Umanesimo acquistato durante un’asta negli anni Novanta, un esemplare unico.

Il Seicento

Un altro momento di snodo, “e quasi non indentificato” fa notare Meldini, è il Seicento. In questo secolo “la città riflette su se stessa”. Viene pubblicata, infatti, la prima Storia di Rimini del Clementini, tutta basata su documenti. A questa si aggiunge il Sito riminese dell’Aldimari, una grande guida delle risorse del territorio riminese.

Il Settecento

Se il Settecento è un secolo importante, il merito è tutto dell’intellettuale Giovanni Bianchi, meglio conosciuto come Jano Planco (Rimini gli ha dedicato due vie, una per ciascun nome). Medico, scienziato ed erudito riminese, corrispondeva con i massimi intellettuali dell’epoca di tutta Europa. In mostra anche Il vitto pitagorico di Jano Planco, libello in cui se la prende con Antonio Cocchi (1695-1758), “collega” che aveva scritto in favore del regime vegetariano, e una lettera a lui indirizzata di Voltaire.

Il Settecento è anche il secolo del terremoto che la notte di Natale 1786 gettò nel panico
la città. Del 1787 è l’opuscolo Discorso istorico-filosofico sopra il tremuoto dell’arciprete Giuseppe Vannucci, allievo del Planco, in cui sosteneva la “teoria elettricista”, oggi superata, che riteneva che i terremoti fossero generati da violente scariche elettriche d’origine atmosferica o sotterranea.

Luce, anima e installazione

Il percorso nelle sale antiche, infine, propone anche l’installazione “Ex libris per luci cangianti” a cura di Annamaria Bernucci, realizzata dall’artista visivo Daniele Torcellini che costruisce una sinestesia di segni e forme e colori di luce che vestono libri, codici e insegne gambalunghiane di nuove sembianze.

Da primo stabilimento bagni a…

Rimini è un pastrocchio, confuso, pauroso, tenero, con questo grande respiro, questo vuoto aperto al mare”: scriveva Federico Fellini, nel suo riflettere ed interrogarsi sull’identità della propria città natale nel libro Il mio paese. Da questo pensiero, accostato ad una citazione squisitamente cinematografica e riminese – un uomo solo sul molo di Rimini, in un’alba autunnale, avvolto in un logoro cappotto di cammello, ovvero la scena iniziale con Alain Delon del film La prima notte di quiete di Valerio Zurlini, nel quale una scena con il prof. Delon è girata proprio all’interno della Gambalunga – inizia il viaggio a ritroso nella storia della città.

Sulle pareti della Galleria dell’Immagine scorrono le diverse stagioni dell’Otto e Novecento riminese: dall’Ostenda d’Italia agli inizi del Novecento, agli anni ’50 e ’60 quando Rimini era considerata la Miami d’Europa, con l’arrivo delle prime discoteche, i ’70 delle contestazioni giovanili, gli anni ’80 con il successo di Rimini di Tondelli ma anche la grande festa per Federico Fellini per E la nave va, per arrivare alla cultura dell’eros, alle soglie del Duemila. Stagioni che vengono ripercorse attraverso la proiezione di un montaggio di immagini realizzato utilizzando centinaia di fotografie attinte dall’Archivio fotografico della Gambalunga ma anche filmati e video della Cineteca.

Dall’Ostenda d’Italia a Nizza dell’Adriatico, dal “distretto del piacere” al “divertimentificio”.

Chissà se oggi, dopo tanto “girovagare”, Rimini potrà ritornare “semplicemente Rimini”.

Tommaso Cevoli