Home Storia e Storie Quella celletta in rovina…

Quella celletta in rovina…

Il nostro storico collaboratore Enzo Fiorentini ne parla già nel 1987, in un articolo apparso su  ilPonte che porta la data dell’11 gennaio dello stesso anno e che ricostruisce tutte le tappe del passaggio di San Francesco a Rimini e dintorni. La storia è quindi cosa nota e riguarda la presenza di una celletta a Vergiano di Rimini, eretta di fianco ad una casa colonica ai primi del ’900 e che oggi si trova in uno stato di abbandono. E dire che comincia proprio da Rimini, per concludersi a La Verna, quel Cammino di San Francesco che negli ultimi anni è stato ben promosso e spinto dall’associazione L’Umana Dimora. Perché non recuperare anche questa celletta e ridarle lustro facendola, perché no, rientrare nel suddetto cammino francescano?
Ma ripercorriamo la storia, attingendo a piene mani dall’articolo di Fiorentini: «In questo andare del fraticello troviamo una sosta a Vergiano. Il santo vi passò una notte presso una modesta casa colonica di certi Leonardi ai quali predisse che la loro discendenza non sarebbe stata né ricca, né povera. Quando i Leonardi lasciarono la casa per fabbricarne una più confortevole sulla collina, nella vecchia casa colonica alloggiarono certi Scarponi, poi gli Agostini fino a circa il 1574. Nel 1874 il notaio D. Giambattista Leonardi eresse nei pressi della casa colonica un’edicola per ricordare il passaggio di San Francesco. Successivamente la casa pervenne a Cesare Frioli e il 21 marzo 1922 passò in eredità al nipote Patroclo che restaurò la stanzetta e un piccolissimo oratorio. Il restauro ebbe l’approvazione di Mons. Scozzoli. Nel 1925 i restauri furono affidati al pittore riminese Gino Ravaioli che iniziò con un lavoro di ricerca. […] Su consiglio di R. Padre Gregorio Giovannardi, il Frioli e il Ravaioli dovettero affrontare il problema di isolare la stanzetta dall’interno e armonizzare il tutto con l’esterno. Si trovarono tracce di un’antica finestrotta a sesto acuto e di una porticina che il pittore ricostruì in cotto e pietra di San Marino incidendo sull’architrave il motto francescano “Pax et bonus” e la firma che di solito il Santo apponeva alle sue benedizioni: una T greca (tau) come facevano gli antichi cristiani (crux patibulata. Gino Ravaioli racchiuse il tutto con un vero gioiello di porticina trecentesca in legno con rosette in ferro battuto. L’inaugurazione avvenne nel 1926, settecentesimo della morte di San Francesco. In un riquadro della cappelletta venne murata questa lapide in marmo rosa. “Questa umile cella che antica tradizione afferma rifugio d’una notte al serafico sposo della povertà per desiderio di Cesare Frioli il nipote di Patroclo volle rivestita di mistica armonia e consacrata nell’anno francescano MCMXXVI”. Fece i lavori Gino Ravaioli. Come accade a molti monumenti, la gente ne perde il gusto e li lascia andare in rovina, sono bastati pochi anni, i cipressi del viale che conduce alla cappellina sono sempre belli, ma la struttura è ridotta ad un grazioso rudere».
Ma questa storia non è ferma al 1987. Nel 2016 in occasione del 90° della ricostruzione della Cella la famiglia Frisoni, ultima famiglia ad abitare la casa colonica ha dedicato al fratello don Raimondo <+nerocors>(nella foto)<+testo_band>, un libretto nel quale si ricostruisce la vita della celletta, intrecciandola con la storia familiare degli stessi. Si legge: «Nel 1930 la casa colonica passò in proprietà a Mario Carli di Rimini, escluso il viale dei cipressi con la Cella e la piccola sacrestia, ne rimasero proprietari i Frioli. Nel 1931 la casa colonica con relativo terreno, fu assegnata in mezzadria alla giovane famiglia di Frisconi Gennaro (Gino) e Berardi Chiara che vennero ad abitare con la piccola figlioletta Annamaria di appena tre mesi. La famiglia Frisoni si prese a cuore la Cella di San Francesco con il suo viale di cipressi negli anni della loro presenza nella casa – dal 1931 al 1979. I coniugi Frisoni ebbero grande cura per la manutenzione della Cella come fosse casa propria. Negli anni è stata celebrata, alcun volte, la messa e ci sono stati dei momenti di preghiera. L’altare era sempre adorno di fiori freschi. Lo stesso don Raimondo ha più volte celebrato messa nella Cella (il 6 aprile 1965 in occasione della morte della madre Chiara, il 5 settembre 1979 in occasione della morte del padre Gino». Dopo quella famiglia nessuno più abitò la casa colonica e la Cella di San Francesco è stata abbandonata. Don Raimondo racconta che: “dopo la morte di mio padre Gino, io don Raimondo – anche a nome di mio fratello e delle mie sorelle – mi presentai sia ai signori Carli proprietari della casa colonica, sia alle signore Rina e Maria Frioli, proprietarie della celletta e del viale dei cipressi con la richiesta di acquistare la doppia proprietà, ma la risposta è stata una sdegnato rifiuto da parte di entrambe le parti. Mi costa che poi anche una comunità religiosa fare la medesima proposta del sottoscritto. La risposta è stata la stessa da me ricevuta. Peccato! Tutto continua ad andare in rovina”. Anche don Mirko Vandi, parroco a Vergiano dal 2009 dice che “c’è stato un interessamento da parte nostra, ma stiamo parlando di proprietà privata e si può fare ben poco. Abbiamo interpellato le famiglie ma non hanno intenzione di vendere o di occuparsi delle strutture. Attualmente la situazione è un po’ al limite: tetto pericolante, umidità, per non parlare della vegetazione che ha preso il sopravvento”.

Angela De Rubeis