Quei Magi tra incudine e martello

    Il fuoco lo rende incandescente, lo piega, lo ingentilisce nelle forme ma non lo spezza e la storia e le leggende che da sempre lo accompagnano, fanno del ferro un minerale strano, forte e primitivo, come il luogo in cui viene lavorato. Nell’officina, scintillante di bagliori nell’oscurità, pochi pezzi essenziali servono per lavorarlo; dappertutto aleggia un odore particolare, intriso di umidità, intenso e penetrante, che sa di ruggine, polvere e limature. Qui, in questo luogo, nascono, tra ingegno e fatica, creazioni particolari e uniche prodotte con una sola materia prima: il ferro. Curiosi di scovare al giorno d’oggi un artigiano tanto singolare, siamo andati in via Mazzini 49, nel laboratorio-officina che Aldo Magi aprì, a Cattolica, molti anni fa e che, dopo oltre 50 anni di lavoro, ha ceduto al figlio Marco.

    Quando ha iniziato a fare questo mestiere?
    “Era il 1954 quando iniziai; sono del 1939 dunque il conto è presto fatto: a 14 anni. Avevo finito l’avviamento (le odierne scuole medie) e andai a cercare lavoro in un’officina nella zona del porto, alla bottega di un fabbro, un certo Pritelli. Lì si lavorava parecchio: facevamo pezzi che servivano alle barche ed eseguivamo lavori anche per i cantieri edili. Inoltre si producevano reti per i letti, cisterne di lamiera per il gasolio da riscaldamento mentre, per le barche, costruivamo i rabbi, dei bracci meccanici forniti di rete metallica, particolarmente adatti per setacciare i fondali quando i pescatori prendevano il largo a caccia di sogliole e vongole. Le prime cose che mi fecero fare però erano lavoretti da garzone, ricordo che mi avevano messo a spaccare il carbone coke che, a quei tempi, era in blocchi molto grossi, e serviva per alimentare il fuoco della forgia che doveva sempre rimanere acceso”.

    A cosa serve la forgia?
    “La forgia, o fucina, è simile ad un braciere; il fabbro, prima di lavorare il ferro, prende il pezzo da forgiare con le pinze e lo appoggia sui tizzoni ardenti, in modo da renderlo malleabile”.

    Così il ferro si scalda, cambia colore, dapprima diviene rosso scuro, poi si arroventa, assumendo un colore più intenso e acceso fino a diventare quasi color oro; grazie al fuoco il ferro diventa incandescente. A questo punto va levato, con le pinze, dalla forgia e trasferito sull’incudine, un tozzo ripiano con due appendici laterali detti corni. È su questo blocco, argenteo e massiccio, che il fabbro vibra energici e poderosi colpi, battendolo a mano, finchè riesce a dare la forma voluta.

    Una, due, tre, dieci martellate ed il ferro si schiaccia, si piega e, sotto le abili mani del fabbro che lo lavora, si plasma, diventa materia più elegante, più sottile, più sinuoso.
    “Ricordo che un tempo, per usare la forgia, occorreva azionare il mantice a mano che era come una specie di grande soffietto che aspirava e soffiava fuori l’aria e, andava posto vicino al fuoco, perché alimentava la combustione, mantenendo nel braciere, la fiamma sempre accesa”.

    Ma non si usa più, vero?
    “Sono molti anni che non si usa più, ormai è diventato un pezzo da museo!”.

    Senta, torniamo alla sua storia: dopo anni di bottega, cosa creò?
    “Dopo qualche tempo iniziai a lavorare anch’io il ferro, facevo la punta agli scalpelli. Lavoravo e battevo il ferro col martello fino a farlo diventare appuntito o piatto, poi, finito il lavoro, immergevo il pezzo che era ancora incandescente, nell’acqua e subito una nuvoletta di vapore si levava dal secchio. Il ferro si stava temperando, era diventato un oggetto”.

    Questo è un lavoro che richiede una certa prestanza fisica, molta forza… Guardo Aldo Magi nei suoi sereni occhi azzurri e sotto il camicione da bottega, si può intravedere un fisico asciutto ma possente. All’interno dell’officina-laboratorio, che si sviluppa per il lungo, il tavolo da lavoro in ferro che assomiglia ad un breve binario; qui si appoggia tutto il materiale di una certa dimensione, per essere lavorato o saldato. Alle pareti un pannello dove si trovano molti attrezzi da lavoro: pinze, lime, raspe, mazze di varia misura, tenaglie, riccioli di ferro, sega, vicino al tavolo la piegatrice, il trapano, la pressa, la morsa, la saldatrice, ma il pezzo forte dell’officina è senza dubbio la poderosa incudine, nel suo argenteo splendore, sorretta da un capitello di quercia centenario, che Aldo ricevette in eredità da un suo vecchio padrone, che gliela regalò per lasciargli un ricordo.

    Questo lavoro può essere pericoloso?
    “Pericoloso, oddio, us po dè una martleda sora un did, ti puoi fare qualche taglio, o ti scotti, ma pericoloso… occorre la massima attenzione e concentrazione, come per tutti i mestieri, e il lavoro riesce!”.

    Ha fatto qualche lavoro particolare?
    “Molti anni fa abbiamo costruito una giostra per i bambini, e l’abbiamo corredata di biciclettine e paperine poi, siccome di fronte all’officina avevo un parco giochi, ho fatto anche qualche altalena. Facciamo corrimani, attaccapanni, candelabri, alari per il caminetto, e anche dei bei porta-anfora, tutti in ferro battuto”.

    In zona ci sono ancora dei fabbri?
    “Della mia età sono rimasto solo io!”.

    Ma il suo mestiere lo erediterà qualcuno in famiglia?
    “Mio figlio Marco, è giovane, ha 32 anni ed ha studiato da perito elettronico. Ha lavorato qualche anno per una ditta di ascensori, era stipendiato. Poi gli chiesi se voleva venire a lavorare nell’officina con me, che forse gli poteva piacere, e lui è rimasto; nel 2002 ha rilevato l’azienda”.

    Le è capitato un lavoro particolare, che le è piaciuto di più di altri?
    “Sì, ultimamente una brava pittrice russa che abita a Gabicce, Fatima Tomaeva, ci ha commissionato una ringhiera per una scala interna. L’immaginava insolita, con una spirale, alcune foglie, delicate roselline dal cuore d’oro e… la testa di quel magnifico drago al centro; l’è venuta a vedere mentre la facevo. Finita, abbiamo applicato anche un colore particolare per renderla anticata, lei è rimasta soddisfatta, le è piaciuta molto!”.

    Allora è proprio un artista!
    “Beh, ho rifatto anche la base un po’ particolare per dei portacandele antichi che sono sull’altare della chiesa qui vicino; la base, triangolare, aveva la forma di zampe di leone con dei begli artigli in vista. Col tempo di queste basi se n’erano perse un paio. Io le ho rifatte identiche alle originali, avevo i campioni e sono venute veramente bene”.

    Ma per questi lavori particolari, si sarà fatto pagare un po’di più!
    “Macchè, ho detto a quel prete, per scherzo: Per me che sono stato abbastanza vicino all’inferno tutta la vita, se gliele faccio gratis, quando sarà il momento, mi raccomanda lei per un posticino lassù, al fresco, tra le nuvole?”.

    Laura Prelati