Home Attualita “Quei falsi amici di mio figlio”

“Quei falsi amici di mio figlio”

Storia di un anno fa. Fine luglio, inizio agosto. Luigi Paganoni, 77 anni, bergamasco di origine, ma riminese d’adozione è nella sua casa di Rivazzurra. Sta guardando un programma alla televisione quando il campanello suona. “Signor Luigi, siamo amici di Simone, lo stiamo cercando da tutte le parti, dobbiamo lasciargli un pacchettino, possiamo salire?”. In un primo momento l’anziano dice di no: “ripassate più tardi, adesso sta lavorando, ma verso l’ora di cena ci sarà sicuramente”. I due, però, insistono dicendo che stanno per partire per le vacanze e che prima delle ferie devono per forza lasciargli quel presente.
“Quell’insistenza – dice Luigi che nel ricordare quanto gli è capitato diventa ancora rosso paonazzo dal nervoso – mi aveva insospettito: pochi giorni prima avevo letto sul Corriere della Sera della disavventura capitata a una signora di Brescia raggirata da un manigoldo che si era spacciato per un amico del marito. Così dal citofono ho chiesto di attendere un attimo, mi sono affacciato alla finestra per vederli in viso”.
Giusto il tempo di arrivare al davanzale e guardare in basso, sulla strada.
“Dissi ai due ragazzi che Simone sarebbe tornato verso l’ora di cena, che in quel momento era sul lavoro, ma loro furono molto furbi. Iniziarono dicendomi che erano compagni di classe, addirittura mi dissero la sezione e i nomi dei professori, sapevano dove lavorava, cosa faceva, i suoi orari: insomma, per farla corta mi fecero credere che lo conoscessero veramente”.
Tanto che Paganoni decide di fugare i dubbi e apre il portone. Giusto il tempo di fare due rampe di scale e i truffatori sono in casa.
“Non volevo farli entrare, ma uno mi chiese un bicchiere d’acqua, fuori faceva un caldo infernale, non darglielo mi sarebbe dispiaciuto. Così ci siamo messi a parlare finché l’altro ha chiesto del bagno”.
Cinque minuti che sono costati a Luigi svariate migliaia di euro.
“Hanno rubato gli ori di mia moglie, qualche soldo che avevo in camera ma soprattutto un orologio che era di mio padre e al quale tenevo tanto. Cosa mi è rimasto? Un gran nervoso! Se mai vi dovesse capitare una cosa del genere, non aprire mai la porta!”. (fra.ba.)