Home Vita della chiesa Quarantena, le suggestioni del Vescovo: la terapia della preghiera

Quarantena, le suggestioni del Vescovo: la terapia della preghiera

Miei carissimi,
stavolta debbo cominciare da una confessione a cuore aperto. Credetemi. Confesso a Dio onnipotente e a voi fratelli e sorelle che, quando penso alla mia preghiera, mi affiorano dal cuore due pungenti amarezze. La prima è di non riuscire a pregare di più. E allora rischio di ammalarmi di attivismo e di espormi al virus pelagiano del “fai da te”. La seconda amarezza è presto detta: più vado avanti negli anni e più mi pare di non saper pregare.

Eppure di maestri di preghiera ne ho avuti molti, e molto buoni. I primi sono stati i miei genitori. Mia madre, anzitutto. A quasi 70 anni di distanza, mi sento ancora percuotere dai suoi sospiri a stento repressi davanti alla statua del Crocifisso del mio paese. Il messaggio che me ne veniva ‘a pelle’ era limpido e invitante: Gesù mi aveva amato fino a morire per me. E poi, mio padre. Più che il rosario serale recitato a colpi di sonno al termine di massacranti giornate di lavoro, mi ritornano in mente le volte che di notte mi sentiva piangere per il mal di denti o per la tonsillite. Con uno scatto celere accorreva al mio lettino e di colpo riusciva a placare il mio pianto convulso e l’irrefrenabile paura che mi attanagliava.

Anche dal babbo mi giungeva un messaggio di palpitante tenerezza: Dio è un Padre-Papà che non ce la fa a vedere o a sentire i suoi figli gemere e singhiozzare. Ambedue i messaggi sono stati e rimangono una imprescindibile premessa per la mia povera preghiera: perché pregare se a Dio non importa di me?

Poi c’è stato il seminario minore, e lì ho capito che la preghiera è una cosa bella, bellissima: è parlare cuore a cuore con Gesù, l’amico-PIÙ. Il più grande, il più leale, il più fedele. Il più generoso, il più umile, il più coraggioso amico che io abbia mai incontrato. E che più di ogni altro mi abbia fatto felice.

Poi ancora, da giovane, al seminario maggiore, ho cominciato a gustare la bellezza della lectio divina, che allora si chiamava semplicemente meditazione. Il nostro nuovo padre spirituale, appena arrivato, fece piazza pulita dei tanti libri e libretti che intasavano i banchi della nostra cappella, per rimpiazzarli con la Bibbia. La sola, nuda Bibbia. Fu una scoperta da leccarsi le labbra. Un amore a prima vista. Il ’Libro dei libri’ non solo mi consegnava le deliziose parole della lingua umano-divina per poter dialogare con Dio, ma mi forniva pure l’intero vocabolario e la grammatica di base della preghiera.

E allora cos’è pregare? ce lo stiamo chiedendo in questi tempi di Covid-19. Pregare è parlare con Dio, ci dicevano da bambini. Sì, ma poveri come siamo, pieni di fede e di dubbi, noi sogniamo una fede rocciosa, che sradichi alberi e sposti montagne. Ma di una fede di questa lega, non siamo capaci. Gonfi di noi, dobbiamo rifarci anfore vuote.

Dobbiamo svuotarci dalla idolatria. Dobbiamo ricordare sempre che il contrario della fede non è l’incredulità: è l’IO-latria. La quale non è solo l’adorazione delle immagini degli dei “falsi e bugiardi”. È anche la falsificazione dell’immagine fedele del Dio vivo e vero. Di cui l’autentica ‘copia-conforme’ è quella firmata da Gesù: Dio non è il padre-padrone. È il Padre-Abbà.

Ma se noi ci sbagliamo su Dio, allora la nostra preghiera risulterà contagiata dal virus delle sue immagini idolatriche, proiettate dai nostri sogni, deliri di onnipotenza e narcisistici bisogni.

Immagini tipo: il dio-Bankomat del “tanto ti do, tanto mi devi”. Il dio-Specchio del fariseo al tempio che si contempla compiaciuto e non smette di autocelebrarsi: “IO ti ringrazio, IO digiuno, IO non sono come questo pubblicano”. Ancora, la dea-Polizza che ci strega con il miraggio di una magica assicurazione sulla vita. Il dio-Faraone che non vuole figli da amare e servire, ma schiavi da schiacciare e asservire.

No, il nostro Dio è l’Abbà che ci ama senza se e senza ma. E’ l’Abbà che non si merita, ma si accoglie. Che non vuole facchini, ma innamorati. Che non può dare nulla di meno di se stesso. E sulla croce preferisce rinunciare a salvare se stesso pur di salvare tutti noi.

Miei carissimi fratelli e sorelle, ma non vi pare che, se noi credessimo un po’ di più nell’Abbà di Gesù, non saremmo sedotti dalla subdola tentazione idolatrica di volerlo piegare ai nostri meschini progetti?

Vi saluto.
Vostro
+ Francesco Lambiasi