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Quanto brilla la domenica?

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“Sfatiamo la cultura del precetto, altrimenti la differenza tra la non credente e l’amica credente risiede solo in un’ora di sonno perduta dalla seconda. La domenica non è il giorno in cui i cristiani vanno a messa perché è festa, ma è festa perché vanno a messa”.
Don Oreste diceva: se conoscessimo il valore della Messa, “faremmo a botte” per entrare in chiesa.
“È importante che i cristiani facciano brillare la domenica! Il giorno del Signore sia davvero vissuto come un momento bello, decisivo, insostituibile.
Per arrivare a ciò, le comunità parrocchiali devono scatenarsi, con creatività e amore. Offrendo – oltre ad una liturgia viva – anche opportunità di incontro, di convivialità, di relazione tra le persone”.
Esistono esempi del genere in Diocesi?
“Comunità che si ritrovano a pranzo, momenti di svago e riflessione organizzati periodicamente, feste per fasce d’età, attività oratoriale e gite: sono tante le opportunità già in atto, ma le parrocchie sono in grado di fare ancora di più. Vorrei far mio il sogno che è stato di don Oreste: “«Vederci tutte le domeniche tutti, piccoli e grandi, senza che nessuno manchi. I giovani, i genitori con i piccoli in braccio, gli anziani. Tutti insieme alla mensa del Signore per fare il pieno di Lui»”.
Intanto la domenica è mutata nel fine-settimana, nel week-end.
“È una sfida anche culturale. La domenica è un tesoro che non possiamo lasciarci scippare da questioni economiche! Il tempo libero, specialmente nella fretta del mondo moderno, è una cosa bella e necessaria: ciascuno di noi ne ha esperienza. Ma se il tempo libero non ha un centro interiore da cui proviene un orientamento per l’insieme, finisce per essere un tempo vuoto che non ci rinforza e non ricrea”.

Vale allora per il settimo giorno quanto Giovanni Paolo II sosteneva per il turismo proprio da Rimini: “riposarsi non vuol dire separarsi da se stessi”.
“Tutti debbono poter conoscere la libertà, il riposo e la distensione necessari alla loro dignità di uomini, con le connesse esigenze religiose, familiari, culturali, interpersonali, che difficilmente possono essere soddisfatte, se non viene salvaguardato almeno un giorno settimanale in cui godere insieme della festa e riposare”.

La domenica dunque parla un linguaggio universale?
“Per il giorno di riposo è possibile utilizzare un linguaggio pienamente umano: è portatrice di valori che sono per l’uomo, e perciò comprensibile anche da chi non è cristiano. La difesa e la promozione della domenica sono suggerite da ragioni fondate su una visione della convivenza umana contrassegnata dal valore della persona e delle sue esigenze sul piano umano, sociale, spirituale”.

Rimini ha una forte vocazione turistica. Ma il lavoro domenicale da eccezione (perlomeno temporale) sta diventando una regola.
“È una questione delicata. La domenica è un tesoro che non possiamo lasciarci scippare da questioni economiche. Ci sono aspetti tecnici da considerare, una città non può fermarsi, il Pronto Soccorso deve funzionare, ma sulla domenica ci giochiamo la fede. È la festa che il Signore fa all’uomo, e non il contrario, un tesoro che Dio dà ai suoi figli”.

Lei ha scritto un decalogo della domenica. Stile brillante, ma il “dettato” è serio.
“La domenica è un bene prezioso, non trascorriamola invano, drogandoci di tv, alienandoci nell’evasione, caricandoci di altra tensione. E non ammazziamo la domenica con il doppio lavoro: non violiamo né svendiamo il giorno di riposo. Basta con la mercificazione del tempo: la domenica non è una tassa sul tempo da pagare al dio fiscale”.

Eppure i centri commerciali sono sempre più meta di pubblico. E invocano per le loro attività una funzione di servizio.
“Esistono altre possibilità per far festa. Quella consumistica non può essere l’unica cultura sovrana e i centri commerciali non possono essere l’unica risposta al bisogno di socialità.
Alcune analisi sostengono che il lavoro domenicale come regola soddisfa l’esigenza di consumare piuttosto che rispondere ad esigenze di servizio. E uno studio della Cisl fa notare che i centri commerciali sono aperti alla domenica, ma è meno frequente rispetto a un tempo il servizio sanitario”.

Boicottare gli acquisti alla domenica?
“Se necessario, perché no? La domenica è un valore grande; perché certi appelli non restino inascoltati o lettera morta, si può arrivare fino a decisioni drastiche.
Quanto sono disposte a perdere le comunità perché la festa torni a brillare? Se consideriamo la domenica un precetto, l’apprezzamento scade, come nel caso del medico che impone al paziente ammalato di mangiare. Il cibo è un piacere, non un’imposizione. Interroghiamoci: come viviamo la domenica?”.
Alcuni studi economici mettono in discussione il presunto aumento del volumi di affari.
“Non spetta a me o alla Diocesi lavorare di riga e di squadra per far quadrare i conti dei giorni di lavoro festivo. Le scelte economiche, sociali e culturali devono però avere al centro l’uomo. Lo sosteneva già un padre del pensiero moderno come Kant: le leggi sono per l’uomo, e non debbono mai diventare un fine”.

Paolo Guiducci