Home Attualita Prendersi cura, mettersi in gioco. Che sfida!

Prendersi cura, mettersi in gioco. Che sfida!

Una scommessa. Una scommessa sul futuro. Dove si può cercare un terreno di incontro tra i valori delle generazioni precedenti e quelli dei giovani di oggi?
La domanda di Costantino Bonini, membro del Movimento per la Vita “A. Marvelli” di Rimini, va dritta al cuore dell’incontro. A tema, venerdì 13 aprile, e la scaramanzia non c’entra per nulla, ci sono: “Giovani che si prendono cura”. Come ha spiegato Carlo Pantaleo, moderatore della serata, “prendersi cura significa personalizzare, agire in prima persona”. Giovani che si mettono in gioco, che entrano nella sfida. A Rimini, in Riviera come in tutta la provincia e nel resto del Paese, è possibile?
Il destinatario della domanda è l’onorevole Edoardo Patriarca, presidente del Centro Nazionale per il Volontariato e dell’Istituto Italiano della Donazione.

Patriarca, la sfida è aperta o ci si defila?
“Io penso che la cosa che più stiamo perdendo è l’idea di persona. Ad oggi si tende molto al fai-da-te, all’isolamento, mentre gli individui sono sempre vissuti e cresciuti all’interno di una comunità. Staccarsi dal concetto di comunità, spezzandola in molti Io, è un perdere la libertà responsabile, cioè quel concetto che mi lega agli altri, ma non mi imprigiona. La democrazia si fonda su questo: la persona in mezzo agli altri, che agisce all’interno di una comunità, altrimenti diventa solo un insieme di regole vuote da seguire. È passata l’idea che mi autogestisco i diritti e non devo rendere conto a nessuno”.

Questo è il primo valore perduto. Ma il resto manca?
“Inoltre ci manca, come Repubblica, il principio di sussidiarietà. Il distribuire le competenze, il sostenere, favorire il libero associarsi delle persone. Questo è sempre collegato alla libertà responsabile. Chi si vuole più assumere una responsabilità? È qualcosa che costa fatica, impegno, scendere in campo con sé stessi. Niente di più, niente di meno”.

Non c’è due senza tre. Ovvero il terzo valore forse un po’ dimenticato dalle nuove generazioni.
“È la cultura del dono. La vita è fatta di gesti di gratuità. E così facendo si recupera un nuovo umanesimo in cui non tutto si può spiegare ma ci sono delle cose che accadono. E ti stupiscono perché ti rendi conto di aver ricevuto un dono inaspettato.
Se non si arriva a sentire questo fremito, il Signore ci sembra lontanissimo”.

Si può vivere questo orizzonte in Parlamento, nella politica?
“Bisogna uscire dallo schema della convenienza. Anche nella politica: è una professione perché devi essere competente, ma a tempo determinato. La gratuità sta nel sapere che un giorno te ne andrai, solo con quest’ottica diventerà un servizio”.

In tanti ripetono questa frase come un mantra ma all’atto pratico…
“Il terreno d’incontro non bisogna forzarlo, ma noi adulti, che questi valori li abbiamo acquisiti, dobbiamo dare l’esempio. Se parliamo e basta non cambierà niente, se invece mostriamo con la nostra vita di fare quello che dichiariamo, allora qualcosa potrebbe succedere”.

L’inverno demografico è una drammatica evidenza in Italia. Quali iniziative possono esserci per le famiglie giovani?
“Questo tempo e in particolare il nostro Paese è percorso da due paradossi. Il primo riguarda il tasso di invecchiamento, molto più alto degli anni precedenti, il che significa un aumento della qualità della vita. Allo stesso tempo, però, – ed è il secondo paradosso – diminuisce il tasso di natalità. E se ci sono pochi nati c’è meno crescita per il paese, anche dal lato economico. Tuttavia, per la mia esperienza, posso dire che è un punto che si fa fatica a inserire nell’agenda politica”.

Si riferisce ai cinque anni della passata legislatura in cui ha lavorato in Parlamento in cui si sono proposti più volte dei bonus alle famiglie, ma non è stato creato un piano strutturato per il lungo periodo?
“La politica dovrebbe agire con la leva fiscale e già la situazione cambierebbe molto. Non nego che la denatalità sia anche legata a un fattore culturale, ma una buona politica fiscale permetterebbe di sostenere alcune famiglie”.

Servirebbe una politica che non si concentri solo sul “qui e ora”, ma che punti al futuro, che sappia spostare l’asticella. Un orizzonte che dovrebbe ampliarsi anche dal punto di vista culturale: puntare meno sull’individuo solo e più sulla comunità.
“Non bastano le dichiarazioni di valore elencate nei programmi elettorali o dette nei discorsi: bisogna poi mettersele sulle spalle, incarnarle fino a portarle a compimento. Solo così si può dare un avvio al cambiamento culturale del Paese. Anche a livello ecclesiale si può lavorare in questa direzione: preparare una proposta gioiosa e smontare questa cultura che si sta accartocciando su se stessa”.

Patriarca, Lei ha anche una proposta “ecclesiale”: allungare i tempi della preparazione al matrimonio.
“Il «sì per sempre» non è mica uno scherzo. È una formula difficile, bisogna prepararsi a dirlo e non so quanto bastino gli ultimi tre mesi prima della cerimonia. È roba grossa, il «per sempre». Soprattutto perché ti ritrovi a viverlo tutti i giorni”.

Si sente citare spesso la formula “clinica del legame”, come se dovessimo andare in delle strutture a curarci per imparare a stare con gli altri. Come se fossimo malati di isolamento.
“Forse è un po’ vero, e sarà difficile «curarci», sarà spaventoso, ma è una sfida che possiamo vincere.
Si respira nell’aria una voglia di mettersi a fare, di uscire e cambiare il mondo. Stasera, domani, dopodomani e tutti i giorni a seguire. Le dichiarazioni altisonanti non catturano i giovani, non attirano la loro attenzione. Deve diventare una cosa importante per loro. E per farlo deve essere prima di tutto una cosa importante per me. Devono vedere che io me la porto addosso, che me ne prendo cura”.

Le scintille scoccano quando c’è la passione in circolo. E se c’è passione, la voglia e la responsabilità sono dietro l’angolo e neanche il futuro fa così paura.
Lucia Zoffoli