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Politica: dalla delega all’impegno

12-assemblea

Il lavoro di confronto e dialogo si è svolto in tre tavoli in cui hanno lavorato i 26 delegati presenti (…). Deve far riflettere che l’area dell’impegno sociale e politico, nonostante la sua trasversalità, abbia raccolto adesioni modeste tra i delegati.

Analisi
(…) Come ci ricorda Papa Francesco: “<+cors>La politica è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune…” (EG, 205). Il suo fine ultimo è quello di rispondere ai bisogni fondamentali della persona umana, al servizio della promozione umana integrale (…).
Quindi è opportuno superare una concezione piatta e solo funzionale dell’agire politico sociale, per riscoprire piuttosto in queste azioni una forma eminente di espressione dell’amore di Cristo per ogni essere umano, che non redime solamente la singola persona, ma anche le relazioni sociali tra gli uomini. (…)
L’azione politico sociale è poi necessaria per poter vivere sul serio la parola del Vangelo. (…)
Si tratta di trovare un equilibrio fra due spinte, entrambe da evitare: il voler fare le cose a ogni costo, per essere concreti, dove l’obiettivo pratico fa perdere di vista l’anima che deve caratterizzare l’azione; l’astrattezza di una fede che non si fa carico del quotidiano.
È emersa con chiarezza la necessità di tenere separati l’ambito dell’impegno (sociale o politico) rispetto a quello strettamente cristiano. Si declina l’essere cristiani in modo personale, con l’impegno sociale e politico, ma non c’è “un” modo, ma “tanti” modi di esserlo.

Dinamiche e contenuti
La consapevolezza di questo alto valore dell’agire politico sociale è però in questa fase storica assai debole nella concreta vita della comunità cristiana. Si è assistito, specie negli ultimi 20 anni, ad una preoccupante negligenza sul piano dei rapporti con le istituzioni e della formazione del laicato. Si è imposta una logica di delega in questi settori vitali, che è stata meno accentuata per il sociale ma certamente dominante con la politica. Questo spiega perché una parte rilevante del popolo di Dio, veda l’impegno politico non solo come lontano, alieno, ma come qualcosa di “sporco”. La capacità di mediazione non viene pertanto percepita come un valore, ma come una abdicazione ai propri principi. (…)
È stato poi evidenziato che da tempo la politica susciti nelle comunità indifferenza, mentre il cristiano, per natura, anzi per vocazione, non può non essere spinto ad occuparsi ed interessarsi di politica.

A questa debolezza interna ha certamente contribuito l’imporsi sul piano del sentire collettivo di logiche utilitaristiche che negano il valore ed il senso del dono e del servizio, insieme al preoccupante dilagare di una indifferenza nei riguardi della crescente emarginazione di ampi strati della popolazione, con l’affermarsi di un individualismo egoista.
Si deve poi segnalare anche una scarsa fiducia dei credenti nelle capacità “sociali” del Vangelo, cioè della sua fecondità, secondo logiche ovviamente non fondamentaliste o confessionali, sul piano delle idee e delle proposte in ambito economico, politico e sociale. Tra le difficoltà esterne si segnala, in quelle realtà in cui si cerca di avviare iniziative che avvicinino la comunità cristiana ai temi politico-sociali, il diffuso pregiudizio che tali azioni siano o inutili o inopportune, perché: “la Chiesa non deve occuparsi di politica”.

Nei gruppi sono stati segnalati come tematiche difficili ed emergenti il problema del coinvolgimento dei giovani nella vita ecclesiale, la gestione dell’immigrazione e dell’integrazione dei diversi, il dramma del lavoro, la difficoltà a comunicare in modo efficace le esperienze positive, la fatica, nelle piccole realtà, nell’attuare cambiamenti anche minimi.
Sempre da un punto di vista politico (locale e generale) è stata sottolineata la mancanza di figure significative e più in generale una selezione approssimativa, per cooptazione o per criteri che non includono la capacità e il merito. La situazione è peggiorata dalla mancanza (quasi totale) di momenti di formazione per i cristiani (…).
Si sente quindi il bisogno di momenti di formazione di base (…) sociale e politica, con una struttura permanente.

Proposta: risorse e strumenti
Nonostante le dinamiche negative illustrate precedentemente, da più parti è emerso che in realtà la Chiesa e le comunità cristiane diocesane sono state anche operose in senso positivo, ed hanno, perlomeno in potenza, a disposizione numerosi validi strumenti di lavoro con tante esperienze di indubbio valore (iniziative nelle parrocchie, il lavoro del progetto culturale diocesano e della consulta delle aggregazioni laicali, centri culturali cattolici, numerose cooperative sociali, la Caritas, l’Istituto di Scienze religiose, i media diocesani, centri di ascolto che indirizzano ad altri servizi, iniziative di microcredito, ricerca di lavoro, reperimento degli alloggi: tutte iniziative non solo per i “poveri” in senso stretto). In questi luoghi emerge spesso essere maggiormente efficace un’attività di ascolto e di compagnia. (…)

Quello però di cui si sente la mancanza è la capacità di fare rete, di collaborare e di usare linguaggi in grado, per esempio, di incontrare il mondo giovanile usando gli strumenti della rete informatica. Dobbiamo quindi puntare a costruire questa rete di supporto, che sappia mettere in comunicazione le risorse, attivando percorsi condivisi che non disperdano le forze facciano circolare e crescere idee e buone pratiche. (…)

In questa fase sono emerse due domande: domanda di partecipazione e di trasparenza, questa come conseguenza naturale della prima.
Il bisogno di partecipazione nasce dalla volontà di percorrere assieme la strada, come comunità familiare, parrocchiale, diocesana. (…) Dal bisogno di partecipazione nasce anche un bisogno di trasparenza, che riguarda sia le scelte pastorali, sia le scelte di gestione.

Le proposte
(…) Il primo tema viene proprio dall’assemblea in sé (…). È stato segnalato che già solo questo successo dovrebbe indurre la diocesi a imboccare con decisione la strada del sinodo, un sinodo non limitato a un periodo o a un argomento, ma un sinodo come modo di essere e vivere la fede. (…)
Dire sinodo è dire partecipazione, rafforzando gli strumenti di partecipazione che funzionano (dove funzionano), trasformando o abbandonando quelli che non funzionano.
Quanto alla richiesta di formazione, è stata individuata una “precondizione”, e cioè la necessità di “informare” prima che “formare”, posto che si tocca con mano spesso l’assenza di punti di riferimento cognitivi, sia per quanto riguarda l’attualità, sia per quanto riguarda il contenuto della fede. Dunque procedere a incontri informativi anche su temi di attualità (immigrazione, reinserimento di detenuti, agire politico a livello locale e nazionale, trattamenti di fine vita, tutela della maternità), per poi passare alla formazione vera e propria, compresa quella di base cristiana, a quella sociale e da ultimo politica. La dimensione di questi interventi dovrebbe essere diffusa e capillare, sapendo coinvolgere tutti i vari livelli del tessuto comunitario diocesano, da quello parrocchiale o di unità pastorale, sino a quello diocesano.

1. Bisognerebbe riprogettare e rilanciare l’Ufficio di Pastorale Sociale, mantenendone i settori di intervento (Lavoro, Politica, Economia, Salvaguardia del creato, Giustizia e pace, Turismo) prevedendone una composizione con delegati provenienti dalle zone pastorali, un direttore che non necessariamente sia un sacerdote, un assistente spirituale ed una mission che si articoli su due compiti principali:
a) attuare un progetto di conversione pastorale pluriennale, teso a promuovere la famosa rete di supporto di cui tanto si sente la mancanza, dotandosi di strumenti adeguati (magari l’infrastruttura di contatti realizzata per l’assemblea diocesana);
b) dedicarsi a quella che sembra essere l’altra urgenza fondamentale, cioè una cura della formazione integrale, multidisciplinare e completa sul piano spirituale, rivolta sia ai fedeli “ordinari”, sia a chi opera direttamente nel politico, nell’economico e nel sociale. Questi ultimi poi dovrebbero essere coinvolti attivamente in questo percorso formativo, mettendoci la faccia e condividendo le proprie esperienze, riflessioni e competenze. Si segnala inoltre, visto la particolare rilevanza di questo settore per il territorio della diocesi, di costituire un distinto ed autonomo Ufficio per la Pastorale del Turismo, con una cura particolare per la promozione e la valorizzazione delle eccellenze artistiche e spirituali del nostro ricco patrimonio.

2. L’economia in generale, ma soprattutto nella vita della Chiesa, è questione che interferisce inevitabilmente con la sfera politica. È questione centrale di Dottrina Sociale della Chiesa, poiché tra queste tre diverse sfere: economia, politica ed etica, sussiste un inscindibile legame e un’imprescindibile intersezione. Il dramma sociale e culturale del nostro tempo è il predominio della sfera economica e lo svuotamento delle altre due. “Questa economia uccide” (EG 53) poiché genera esclusione sociale, ingiustizia e iniquità.  Occorre quindi necessariamente riformare la gestione e l’amministrazione delle risorse e dei beni economici nella vita della nostra Chiesa, favorendone una maggiore compartecipazione a livello sinodale. L’uso dei beni ecclesiali non è un fatto privato, ma è finalizzato alla missione di evangelizzazione, con particolare premura verso i poveri ed i bisognosi. È necessario pertanto tracciare un percorso chiaro che ci porti, a partire dal livello diocesano, ad una gestione sempre più trasparente e competente delle risorse economiche, (…) attenta all’uso ed alla promozione della finanza etica, conformata allo spirito di responsabilità ed ai principi dell’economia civile.

3. Dare vita ad un progetto di formazione che possa condurre alla costituzione di una scuola di formazione politica-sociale, che sappia rispondere alle esigenza formative capillari ed articolate di cui si è rilevata la necessità.