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Per mio figlio niente lavoro sporco

“Quando un genitore accompagna un figlio che viene a cercare lavoro e gli dici che, sì effettivamente cerchi personale da adibire al montaggio delle macchine, lui risponde: no, no, è un lavoro troppo sporco, cerchiamo qualcosa di pulito, in ufficio”. Chi parla è Bruno Bargellini manager della Top Automazioni, azienda di Poggio Torriana, leader europea dei caricatori automatici per torni. Accanto a lui Leonardo Piepoli, della Vici di Santarcangelo che produce quadri elettrici, sistemi per l’automazione, macchine di misura ottica, accenna col capo “È proprio così”. Siamo alla tavola rotonda che le Acli hanno organizzato sabato 12 maggio, per presentare il rapporto di Primo Silvestri, direttore editoriale di TRE, sul lavoro a Rimini, “Alla ricerca di opportunità”.

A tema del confronto il lavoro che manca, ma soprattutto il paradosso di imprese, in genere le più dinamiche, innovative, che cercano figure di alto profilo che non riescono a trovare sul mercato del lavoro locale, e, qualche volta, persino regionale.
Naturalmente la colpa non è soltanto dei genitori (che “oltretutto non sanno – ribadisce Bargellini – che nelle nostre aziende, ormai completamente automatizzate, si lavora in camice bianco e non in tuta”), il vero problema è di un migliore raccordo tra formazione e imprese, che va perseguito anche con politiche coerenti e adeguate ai nuovi tempi.
Secondo l’indagine 2017 Excelsior-Unioncamere sulle caratteristiche del personale richiesto dalle aziende private della provincia di Rimini, uno su cinque risulta di difficile reperimento, per mancanza di candidati o per preparazione inadeguata. Difficoltà di reperimento che si allarga a uno su quattro tra le professioni tecniche e addirittura a uno su tre tra i conduttori di impianti e operai di macchinari.
Così abbiamo tanti disoccupati, persone che cercano lavoro, ma non hanno i requisiti giusti (formazione e competenze) per ricoprire i posti vacanti nelle aziende che sono tornate ad assumere. Che sono le aziende più innovative, dinamiche e soprattutto, quasi tutte, sempre più proiettate sui mercati internazionali.
L’inchiesta ha cercato di dare un volto, certamente parziale, ma reale, alle attese delle aziende.
Le figure richieste sono in gran parte ingegneri e informatici, ma anche operai che abbiano già competenze precise.
Competenze però che le scuole professionali, né tantomeno i licei o l’università sono in grado di dare, “anche perché il cambiamento è talmente rapido che dovremmo rinnovare i nostri laboratori ogni anno, cosa impossibile oltre che economicamente assurda” afferma la direttrice dell’Enaip Zavatta di Rimini Giovanna Scaparrotti.
L’Enaip stesso, che pur vede uscire il 70% dei suoi studenti già con il contratto in tasca, vive un momento di difficoltà: “È difficile reperire personale che voglia fare l’operaio meccanico. Il 100% dei nostri ragazzi che escono da quei corsi quest’anno sono extracomunitari. Ma molti di essi hanno una cultura di base insufficiente per le nuove sfide. Ed è difficile anche reperire personale per un più alto profilo, come i programmatori. Genitori e giovani cercano quel che le aziende non offrono e viceversa”.
La proposta che nasce dall’ Enaip a nome della formazione è di moltiplicare momenti, come questo, in cui incontrarsi e parlarsi, avviare un confronto con le aziende che diventi partecipazione alla formazione, creando laboratori comuni all’interno delle aziende stesse e scambiandosi le conoscenze per rispondere sempre più attivamente alle richieste del mercato. Se le aziende non si coinvolgono è assurdo pretendere che la scuola soddisfi tutte le loro richieste. In questo caso il gap fra scuola e lavoro è inevitabilmente destinato ad aumentare.

Giovanni Tonelli