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Parlami di Dio

Dopo quattro anni dall’ultima volta che ci siamo visti, in occasione della sua crisi matrimoniale, telefona Anna. È stata da noi per dieci anni, dietro richiesta dei servizi sociali, poi si è sposata con un “Gagio” un italiano non zingaro, ma con le sue difficoltà. Gina, la mamma di Anna, andava a “manghel” (chiedeva l’elemosina), il padre, un rom sordomuto, si arrangiava in modi “diversamente leciti”.

Erano venuti in Italia a causa della guerra di Bosnia. Due figlie; una terza sposata-venduta, morta, poi, di infarto – dicono per le percosse del marito –, sepolta ad Ancona con rito ortodosso e un diacono cattolico (io), poi la sepoltura con “rito” rom: soldi e oggetti sulla bara e mangiata con i cibi che lei preferiva. Da quattro anni Anna non si faceva viva, da quando l’altra sorella era morta di overdose in una “campina” (roulotte), posteggiata vicino al fiume Conca. Anna aveva trovato un suo diario di anni prima dove diceva che tutti i suoi guai erano colpa di Roberto. Sì, perché Roberto era contrario all’aborto (e lei ne ha fatti diversi) mentre i servizi sociali lo consentivano (favorivano?) con la raccomandazione di non dir niente a Roberto; come se questo potesse mettere a tacere la sua coscienza. Faceva, infatti, spesso disegni di bambini morti in mezzo al sangue.

Così, dopo quattro anni Anna ci chiama per dire che Gina, sua mamma, era all’ospedale e aveva poco da vivere.
Gina era stata per anni accampata in un campo vicino al cimitero, poco lontano da casa nostra (siamo una casa famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII), e sua figlia ogni tanto andava da lei a respirare aria di casa: fumo, attivo e passivo, cioccolata, coca cola, cani e gatti (fino a 19) sul letto, la lingua serbo croata e rom, assieme a fango, o polvere, se non pioveva, a rifiuti e ciarpame vario, lavarsi in una bacinella – logicamente non c’era acqua corrente – e disprezzo della gente…

Ci si era affezionati a Gina, anche perché per tante necessità era spesso da noi, e quante volte sono andato a prelevarla in qualche posto di polizia per il reato (?) di accattonaggio, dichiarando che noi ci facevamo carico del suo mantenimento! Gli mancava l’avambraccio destro; era finita sotto il treno; alcuni suoi parenti dicevano che aveva battuto anche la testa.

Il marito era tornato in Serbia con un’altra donna e, in questi ultimi tempi Gina viveva, con la sua buona dose di psicofarmaci, in un ricovero per anziani, cosa resa possibile dopo che, passati tanti anni da clandestina, aveva ottenuto la residenza.

La figlia aveva lasciato il marito e se ne era andata col figlio per accompagnarsi con un altro uomo, dal quale ha avuto altri due figli: lavori saltuari e qualche volta ricorso ai servizi sociali.

Anna e sua sorella erano state battezzate all’età di circa quindici anni durante il periodo in cui Anna è stata a casa nostra, mentre la sorella ha vissuto la vita precaria delle “periferie”, per dirla con papa Francesco. Quando erano con i loro genitori, qualche volta giravano, anche all’estero: Germania, Spagna… In Spagna si erano uniti ad un gruppo di testimoni di Geova, ma per loro non faceva molta differenza, tanto la loro religiosità era condita di varie superstizioni e… un po’ di convenienza.

Gina era l’anello debole di un gruppo socialmente svantaggiato e ormai sparpagliato per l’Italia –qualcuno è tornato in Serbia, altri, ormai stabilmente nel milanese, e altri in Sicilia.

Anna, dunque, quando ci ha cercati era sola in un momento drammatico.
Quando Anna ha telefonato io non avevo tanta voglia di ricominciare ad arrabbiarmi ancora con lei, ma subito, con mia moglie Daniela siamo andati a trovare Gina in ospedale; era molto grave e sofferente, ma lucida, ci ha riconosciuto subito nonostante la molta morfina. Ci siamo commossi. Abbiamo pregato, e di questo era molto contenta. La figlia viveva l’impotenza di non poter fare qualcosa per alleviare le sofferenze della mamma e reagiva in modo irrazionale e nevrotico.

In una visita successiva abbiamo cercato di farla ragionare dicendo che sua mamma era consapevole di avviarsi alla morte; era in agonia, in lotta fra la vita e la morte, fra il “principe di questo mondo” e il “Signore della vita”, ma lottava con le sue sole forze, e che era arrivato il momento di pensare all’anima, perché al corpo, per quel che si poteva ci pensavano i medici. Per la sua anima si poteva fare invece molto, tanto più che la mamma manifestava un sincero desiderio di Dio, e quando le abbiamo proposto di chiamare un sacerdote per aiutarla a prepararsi, all’abbraccio del Padre, Gina., pur in quella sua pesante agonia, era come esultante. Le abbiamo dato una foto di don Oreste e lei non smetteva mai di baciarla e ha voluto che gliela mettessimo sotto il cuscino. E noi: “ma te lo ricordi don Oreste?”, e lei: “Si, mi ha aiutato tanto”.

Abbiamo pregato, e Anna si è raccomandata che cercassimo il prete.
Il giorno dopo il sacerdote è passato, ma era assopita, poi è ripassato e hanno pregato assieme alla figlia, ma lei era ancora come in uno stato di pre-coma, però nel momento della benedizione ha aperto gli occhi, si è fatta il segno di croce e poi li ha chiusi. Dopo circa un’ora è morta. La figlia che per il tempo del ricovero era sempre stata con la mamma, ha telefonato: “La mamma è andata in cielo. Ecco di cosa aveva bisogno; non voleva morire e ha lottato con tutte le forze, poi dopo la benedizione del prete ha trovato pace; ecco di cosa aveva bisogno, non delle medicine, ma di questa medicina!”.

Era il giovedì; Il funerale si è fatto il lunedì successivo perché a Misano c’era il motomondiale e le strade erano intasate, ma è stato provvidenziale perché questo ha dato modo ad alcuni parenti di venire, chi da Milano, chi dalla Sicilia. Come per il funerale dell’altra sorella dove il comune ha fatto fronte alle spese, anche in questo caso se n’è fatto carico, ma non del trasporto dalla chiesa al cimitero, cosicché si è celebrata la messa al cimitero. Non è stato avvisato il parroco, che tra l’altro era nuovo e appena arrivato. Ha celebrato il cappellano dell’ospedale, sotto una pensilina, tutti in piedi, senza un fiore; per altare un tavolino che nessuno vorrebbe neanche in cantina, senza una tovaglia, senza incenso né acqua benedetta. Il sacerdote che ha celebrato la messa pensava che tutto sarebbe stato preparato dalla parrocchia, ma questa non era stata interpellata. Nessuno ne ha colpa, ma capita più facilmente a chi vive ai margini.
Eravamo in pochi, qualche amica del ricovero e qualche parente.

Io ho concelebrato nel mio ruolo di diacono permanente e mi vergognavo per tanto squallore. Gli “ultimi” almeno nella chiesa dovrebbero essere i primi. Al momento del Padre nostro ho preso l’iniziativa di invitarli ad avvicinarsi all’altare, richiamando il fatto che abbiamo tutti Dio per padre e di conseguenza siamo tutti fratelli e tutti peccatori: i “gagi” (noi) in un modo e loro in un altro, ma tutti peccatori, e che Gesù è venuto a perdonare i peccatori e a correggere i giusti, e che per questo dovevamo tenerci per mano e recitare assieme, come fratelli, la preghiera al Padre.

Ho vissuto con imbarazzo questa situazione, come se “noi” sulle “cose di Dio” giocassimo in casa, e “loro” fossero accettati con riserva: i “peccatori” … e i “giusti”.

Non so neanche se Gina fosse battezzata, e sui suoi parenti – storie di marginalità – verrebbe da pensare, in modo farisaico, che l’elenco dei difetti sia abbastanza lungo. Sì, indubbiamente i loro difetti ci sono, e tosti, ma il farisaismo sta nel fatto di pensarci nella categoria dei giusti. Mi sono vergognato di questi pensieri. Mi ha consolato e messo nella giusta luce la preghiera: “In paradiso ti accompagnino gli angeli, al tuo arrivo ti accolgano i martiri…”. Ma più ancora: “Ti accolga il coro degli angeli e con Lazzaro, povero in terra, tu possa godere il riposo eterno nel cielo”.

Con il: “Benediciamo il Signore” si è sciolta la striminzita assemblea, per accompagnare la bara nella fossa. In quel breve tragitto, fra le altre tombe, Anna mi ha detto che ringrazia sua mamma perché gli ha fatto ritrovare la fede con il suo desiderio di Dio e con le preghiere che si sono fatte per sostenerla nel suo passaggio. Le parole sono le mie, ma il concetto è tutto suo; lei parlava di miracolo. Ecco, le ho detto: “tua mamma con tutta la sua storia disastrata nel momento più importante ti ha dato quello che più conta”.

Così le ho raccontato che anni addietro una sera sono andato a trovare all’ospedale Darinka, una anziana donna che viveva al campo Rom e che esercitava il lavoro del manghel. Era arrivata alla fine; i figli e i nipoti erano nel corridoio, spiazzati di fonte alla morte. Io sono entrato, e lei mi ha salutato, contenta di vedermi, e tenendomi la mano mi ha detto: “Parlami di Dio”. Io le ho parlato di Dio; non ricordo cosa le ho detto, ma le ho parlato di Dio. Lei teneva gli occhi chiusi e dopo un po’ sono uscito. Mi hanno detto, poi, che durante la notte è morta.

Alla moglie di Marco di Milano, anche lei presente al funerale, che ha cinque figli e portava una croce al collo, ho detto: “Tu insegni le vie di Dio ai tuoi figli? Perché alla fine di tutto resta solo quello”. Mi ha risposto di sì, e che i suoi figli non bevono, non si drogano e non sono stati in carcere; poi mi ha detto: “Io non mi sono mai dimenticata di te; di tutto quello che hai fatto per noi quando il tribunale di Ancona voleva portarmi via Giovanni, il primo figlio, perché chiedevo l’elemosina con lui in braccio. Adesso Giovanni ci ha fatto diventare nonni”. Sapevo di conoscerla, ma non l’avevo riconosciuta, dopo circa venticinque anni si cambia.

Finita l’operazione della sepoltura, la sorella di Gina mi ha preso da parte per raccontarmi di una figlia, che sta in Francia, e che le ha telefonato terrorizzata per un brutto sogno dove Gina, tirandola per i capelli la trascinava via: era venuta a prenderla! “Dimmi, cosa posso fare per lei; è disperata non mangia e non dorme”. Ho chiuso gli occhi per un po’, poi le ho detto: “Dì a tua figlia che faccia dire una messa per Gina” E lei: “Ma suo marito è mussulmano; non vuole”. Ed io: “Ma lei è cristiana, digli che la faccia dire lo stesso, senza che lo sappia suo marito; poi dille che è il diavolo che mette paura, e che Gesù porta la pace, e che Gesù scaccia il diavolo. Dille che, col cuore, si metta nelle braccia di Gesù, e dille che anche noi preghiamo per lei”.

Ecco, là dove meno te l’aspetti c’è una richiesta: “Parlami di Dio!”.

Pino Pasolini