Papà peluche. E i figli sono tiranni

    Li vedi passeggiare tutti sorridenti con i loro “cuccioli” ben coccolati dentro i marsupi-zainetto. La carrozzina o il passeggino? “Meglio tenerli in braccio”, risponde il tenero neopapà, “così è più facile e più bello mostrar loro le tante cose da scoprire”. Meno convinte tante mamme che spesso riescono a “respirare” un po’ e a calmare i loro bimbi – con un po’ di relax anche per le proprie braccia – proprio nel momento della passeggiata. Per non parlare della tanto paventata – ma diffusa – abitudine di portare il bambino nel lettone tra mamma e papà: se oggi ci si intrufolasse all’interno di molti nidi domestici, si scoprirebbe un fatto che ai nostri nonni qualche decennio fa sarebbe parso impensabile, ossia che spesso e volentieri sono gli stessi babbi a dare questa abitudine ai figli. Stesso discorso per i regali e i giochi “a chiamata”: non è raro ascoltare gli sfoghi di mamme “bacchettone” verso mariti troppo generosi e spendaccioni.

    Ruoli ribaltati?
    Che i ruoli in famiglia si siano ribaltati? Dove sono finiti i papà fin troppo severi delle generazioni precedenti? E le mamme “chioccia” pronte a consolare i loro bimbi dai rimproveri dei rigorosi capifamiglia? Gli esperti sembrano non avere dubbi sui cambiamenti che negli ultimi decenni hanno profondamente segnato i ruoli di padre e di madre “I padri – spiega Daniele Novara, direttore del Centro psicopedagogico per la pace e la gestione dei conflitti di Piacenza – si sono maternalizzati. In un primo tempo i padri morbidi con i figli sono stati visti come l’esito finale del processo di erosione della figura arcaica e negativa del padre-padrone”. Quella che, ricorderanno molti figli di quella generazione, inorridiva alla sola idea di cambiare un pannolino ed era poco dedita al gioco e alle coccole. Un papà autoritario che se da un lato risultava spesso assente dal punto di vista affettivo, dall’altro sapeva di certo come farsi ubbidire.
    Anche lo psicologo riminese Sergio De Vita non ha dubbi nel parlare di crisi della figura paterna in quanto, più in generale, “crisi della maschilità e dei suoi valori”.“Già solo il fatto – spiega l’esperto – di utilizzare termini come valori della maschilità o virilità probabilmente fa sorridere i più, ma ciò non è altro che il segno di un diffuso rifiuto del mondo maschile in quanto tale, dei suoi riferimenti e modelli, che permea ormai la nostra cultura. I riferimenti alla virilità appaiono rozzi, spesso ridicoli oppure pericolosi. Pertanto, sono riferimenti e modelli che, dopo avere subito una feroce epurazione ideologica, vengono abbandonati anche dalla pratica educativa. Gli esiti di ciò sui giovani, soprattutto maschi, sono a mio avviso molto negativi e controproducenti per la società stessa. Possiamo parlare di un generale disorientamento dei ragazzi, specie se maschi”.

    L’uomo “mamma”
    D’accordo sul concetto di odierna “femminilizzazione” dell’uomo è anche la direttrice del consultorio familiare Ucipem, Vittoria Maioli Sanese, che però inserisce la crisi della figura paterna all’interno di una più generale “crisi della famiglia, sempre più espropriata del suo valore autorevole”:“I genitori si assumono il compito di cura del proprio figlio demandando però molto dell’aspetto formativo ed educativo all’esterno – spiega la psicoterapeuta – si pensi alle attività pomeridiane, alla scuola e perfino ai mass media”. Una cura che per la dottoressa Sanese è spesso esasperata al punto da trasformarsi in eccessiva protezione; un problema, quello della “perdita della coscienza di un’autorità genitoriale” e di una “capacità di guida” che riguarda ugualmente papà e mamme “ma emerge in maniera potente nel padre che dovrebbe rappresentare la normatività, il riferimento principale per l’identità del figlio”
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    Papà peluche
    Gli effetti collaterali insiti nella figura del “papà peluche” non sono pochi. Per Daniele Novara il fatto di condividere con le mogli la cura dei figli, di essere pieni di coccole e affettuosità, “tutte cose positive che li avvicinano ai figli”, può però comportare una “gran fatica quando si tratta di mostrare il loro volto più burbero: si pongono regole ma concedono mille eccezioni e sgridano senza convinzione”. “Il papà peluche – aggiunge De Vita- è certamente un padre presente e premuroso. È però un uomo smarrito che non sapendo più esattamente quali valori incarnare e quale modello di padre proporre ai figli, si riduce ad essere una sorta di copia della madre o ad un suo supplente. Ma è difficile per un padre trasmettere valori e modelli maschili se a sua volta non è stato educato secondo tali modelli. Allora è più facile per lui ripiegare verso modelli femminili di educazione basati prevalentemente sul soddisfacimento dei bisogni, che è poi quello che oggi accade. È più facile perché li conosce meglio, essendo stato lui stesso educato secondo tali modelli che sono poi quelli largamente accettati e promossi dalla nostra società”.

    Confusione di ruoli e di valori, dunque, in una famiglia che adattandosi alle mutate condizioni sociali si è riorganizzata al proprio interno nella direzione di una certa intercambiabilità dei ruoli tra marito e moglie, padre e madre. Anche qui, però, sorge un problema: “Non possiamo teorizzare che papà e mamma si equivalgono perché più o meno fanno le stesse cose – precisa De Vita -. L’identità dei coniugi e dei genitori è cosa che va ben al di là dei ruoli, investe la persona in quanto tale e il suo modo di essere nel mondo. Ed è precisamente questa identità maschile e femminile, paterna e materna che è in gioco nelle relazioni all’interno della famiglia. Ogni persona, maschio o femmina che sia, ha bisogno per crescere e giungere alla sua piena maturità umana, di un padre e una madre i quali non è per nulla importante che siano perfetti, quanto piuttosto che sappiano trasmettere, anche implicitamente, quei contenuti che aiutano a diventare grandi. Tra questi c’è sicuramente come essere un maschio e come essere una femmina. Insomma, dobbiamo andare verso una educazione rispettosa dei valori di genere”.

    Figli violenti
    Alla figura odierna del papà troppo morbido viene subito da collegare il rischio di un figlio troppo ribelle. “Ribelle? Io vedo piuttosto ragazzi viziati, confusi e arroganti quando non addirittura violenti – commenta De Vita -. La violenza può essere il frutto di una educazione basata prevalentemente sulla soddisfazione dei bisogni e sulla incapacità di gestire le proprie pulsioni sessuali e aggressive che nel maschio possono costituire un cocktail micidiale. Qui noi capiamo l’importanza del padre nell’educazione: quando parliamo di educazione dei sentimenti, di dilazione o addirittura sacrificio della soddisfazione dei propri impulsi, di controllo dell’aggressività verso forme ritualizzate, codificate e socialmente accettabili o verso forme costruttive. Essere educati significa conoscersi e saper padroneggiare se stessi, in particolare quelle forze che, soprattutto nel maschio, tendono alla distruzione e alla sopraffazione. A questo proposito, per fare un esempio, l’archetipo del guerriero o nel medioevo del cavaliere, erano figure importanti per l’educazione dei sentimenti, l’apprendimento del controllo di sé stessi, la comprensione del fatto che la forza va messa al servizio della giustizia. Qualcosa di molto diverso dalla castrazione che alcuni modelli educativi oggi propongono contro il dilagare della violenza”.
    Ma per lo psicologo non si tratta solo di un problema di stile, ossia di quanto essere duri o morbidi.
    “Il problema educativo è assai più un problema di contenuti e una delle risposte consiste nel rimettere il padre e i valori maschili di cui è naturalmente portatore al centro dell’attività educativa e della elaborazione pedagogico-culturale. Quei giovani che la scorsa settimana a Verona hanno pestato un loro coetaneo che gli aveva rifiutato una sigaretta potrebbero benissimo essere, azzardo, giovani di buona famiglia i cui padri, tuttavia, non sono riusciti a trasmettere loro i valori di una virilità in grado di tollerare la frustrazione ed esercitare il controllo sui propri impulsi distruttivi”.

    Più coraggio
    “Un consiglio ai genitori? Abbiate più coraggio di dire no ai vostri figli” è il messaggio della dottoressa Maioli Sanese che ricorda il caso di molti papà “che pur riconoscendo cosa rappresenti il bene per i loro ragazzi, non riconoscono il proprio diritto di forza su di essi, hanno paura di offenderli nella loro libertà, e questa preoccupazione è sempre più anticipata ai primi anni di vita del bambino”. Colpa anche dei modelli educativi – o pseudo educativi, verrebbe da dire – che arrivano alla famiglia dall’esterno: “Penso che oggi come oggi – aggiunge la Sanese – solo la Chiesa stia lottando per far capire e riconoscere alla famiglia la propria autorevolezza verso i figli”.
    Per Daniele Novara la soluzione sta invece in una via di mezzo tra il padre-padrone di ieri e il papà “tenerone” di oggi.
    “Bisogna recuperare una figura di padre che, per intenderci, faccia capire al bambino che i compiti li deve fare da solo, che deve mangiare da solo, che lo porta a fare sport e a provare esperienze nuove. È necessario – aggiunge – che si recuperino il ruolo materno dell’accudimento, che tende a spegnersi con la crescita dei bambini, e quello dei padri, che invece diventa sempre più importante con la crescita, tanto più nell’adolescenza, nel fronteggiare la spinta trasgressiva dei ragazzi insieme alla loro volontà di allontanarsi dalla famiglia per stare nel gruppo degli amici. Un allontanamento che deve essere gestito proprio dal padre”.
    Per far sì che l’uscita dal sicuro nido non sia pericolosa.

    Nicola Montanari