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Padre Mario Canducci, samurai del Vangelo

Un giapponese di origine romagnola. Lo si poteva definire così padre Mario Tarcisio Canducci, missionario nel Sol Levante per 56 anni. Era nato a Torre Pedrera nel 1934. Carla Ronci (cui fu sempre profondamente legato) era sua compagna di classe. Frate minore della Provincia bolognese, era stato ordinato sacerdote nel 1960. Dopo gli studi di missiologia all’Università Urbaniana di Roma, voleva partire missionario per la Cina (tanti anni prima decisivo era stato l’incontro con un missionario venuto dalla Cina che esercitò sul giovane seminarista una forza magnetica verso quelle missioni), ma la Cina era chiusa ai sacerdoti cattolici.

Così era partito missionario in Giappone. Dopo due anni di studio della lingua a Tokyo (nell’anno olimpico 1964) fu destinato alla Missione di Nagaoka, Diocesi di Niigata, sul Mare del Giappone, zona chiamata “Yukiguni” = “Paese della neve”, affidata alla Provincia Minoritica di Bologna. Fu anche Superiore della Missione.
Dal 1981 è stato parroco della chiesa di Takada, dove ha vissuto 30 anni. Attorno a Gesù Eucaristia “inventò” varie opere di assistenza sociale ed educative, tanta attività evangelico-pastorale caritativa di sapore francescano. Padre Mario aveva saputo introdursi molto bene nel modo di vivere giapponese, superando più di altri la difficoltà di essere straniero e integrandosi bene nella società nipponica, portando anche quel caldo dinamismo che caratterizza il popolo romagnolo.

Era molto amato e apprezzato anche per le sue opere. A Takada aveva costruito, accanto alla parrocchia un palazzo, dove al primo piano c’era un grande asilo e nell’ultimo una casa di riposo per anziani. Nel retro, una palazzina ospitava ragazze madri con i propri bimbi e donne vittime di violenza.
Fu chiamato più volte a tenere anche Corsi di Esercizi Spirituali, conferenze e incontri dall’estremo Nord Isola di Hokkaido all’estremo Sud nelle Isole di Okinawa. Gli ultimi anni li ha trascorsi nella Provincia Minoritica dei Santi Martiri del Giappone a Tokyo nel Seminario Convento – Parrocchia di Seta, dove fra 12 frati, era l’unico straniero.

Padre Mario era anche un fine intellettuale, come dimostrano alcuni suoi articoli sul mondo culturale giapponese apparsi sull’Osservatore Romano (come l’ultimo il 14 novembre 2019 sull’influenza di San Francesco su Ryokan, poeta, calligrafo, noto soprattutto per la sua singolare esperienza nella setta buddista Soto). Ricca anche la sua presenza pubblica. Diceva: “Per me ogni occasione è buona per presentare il vangelo e il pensiero della Chiesa a persone che altrimenti sarebbero irraggiungibili”. Così la Regione di Nagaoka gli aveva chiesto di fare parte, unico membro straniero, della commissione che studiava il programma chiamato dell’ “Educazione del cuore” per porre un argine al fenomeno ”ijime”, parola difficile da tradurre in italiano, ma legata ai tanti suicidi di minori connessi alla scuola. Come pure aveva tenuto una conferenza all’assemblea nazionale delle famiglie con anziani affetti da Alzheimer (esplicito riconoscimento della validità della loro casa di cura). Importante e ottimo anche il suo rapporto con molti artisti giapponesi, scrittori, artigiani, scultori e pittori.

Da buon riminese aveva divulgato in Giappone le storie dei nostri giovani santi. Naturalmente l’amica Carla Ronci, ma anche Alberto Marvelli e Amato Ronconi, traducendo le loro vite in giapponese e facendole pubblicare sui settimanali cattolici nazionali e locali.
Nel suo dinamismo irrefrenabile aveva anche tentato di favorire un gemellaggio fra Rimini e Takada, portando nella nostra città il Sindaco con un gruppo di studenti, ma ricevendo solo un cordiale apprezzamento.

I lettori de ilPonte conoscono bene padre Mario, perché il nostro settimanale ha ospitato per primo gli studi storici sulla Chiesa in Giappone, che hanno caratterizzato gli ultimi anni della sua vita, ormai libera da diretti impegni pastorali.
È per la sua determinazione che la storia di padre Giovan Battista Sidoti è tornata ad essere pubblica. Siciliano partito da Roma, via Manila padre Sidoti arrivò nel Sol Levante nel 1708. Fu subito catturato e dopo una serie di interrogatori che consentirono al Giappone di conoscere la religione cattolica, la geografia e la storia dell’Europa, fu imprigionato. Padre Sidoti morì dopo essere stato gettato in una fossa vicino a quelle di una coppia di sposi che aveva convertito durante la prigionia. Alla scoperta casuale della tomba dei tre martiri, padre Tarcisio fu uno dei primi testimoni. Poiché la Chiesa di Tokyo non mostrò subito particolare interesse, padre Tarcisio seppe coinvolgere in pochi giorni oltre al nostro settimanale, anche il Sole24ore, con una corrispondenza da Tokyo, Radio vaticana, l’Osservatore Romano e soprattutto la Chiesa palermitana, che riconosceva subito un dono grande il ritrovamento delle ossa del suo figlio martire. A quel punto anche la diocesi di Tokyo mostrava segni di attenzione.
La collaborazione di padre Tarcisio con il Ponte si è sviluppata negli anni. Ci ha raccontato storie di vangelo missionario, come il perdono del militare americano al suo aguzzino giapponese dopo i tempi della prigionia, o la vendetta con l’assassinio di mons. Lorenzo Toda Tatewaki, Vicario Apostolico di Yokohama, pacifista, da parte dei nazionalisti nell’immediato dopoguerra…

Padre Tarcisio ci mancherà, il suo entusiasmo, le sue provocazioni evangeliche, la sua dolcezza unita ad una forte determinazione. Questo samurai del vangelo, un combattente anche contro la malattia, ci ha lasciati il 10 febbraio. Le sue ceneri ora riposano in quella terra tanto amata.