Home Osservatorio Musicale Onirica Alice

Onirica Alice

La scena iniziale dello spettacolo Alice - Ph Equilibre Monaco

Al Teatro Olimpico di Roma la prima mondiale di Alice, il nuovo spettacolo di Moses Pendleton ispirato al capolavoro di Carroll  

ROMA, 27 febbraio 2019 – Un’esperienza non solo visiva ma multisensoriale, dove in primo luogo si rimane catturati dalle immagini e nello stesso tempo si viene avvolti dalla musica, senza mai rinunciare all’esercizio di un’immaginazione sconfinata: questa è Alice, la nuova creazione di Moses Pendleton, concepita – in collaborazione a Cynthia Qinn – per i Momix, il leggendario gruppo di danzatori acrobati da lui stesso fondato nel 1980. Lo spettacolo s’ispira, seppure del tutto liberamente, al celeberrimo romanzo di Lewis Carroll del 1865 Alice nel paese delle meraviglie (e al sequel, del 1871, Attraverso lo specchio), un capolavoro che non ha perso niente del suo smalto, grazie soprattutto alla possibilità di essere letto e interpretato a tanti livelli: da percorso iniziatico, che porta alla conoscenza di se stessi, a metafora d’importanti concetti scientifici, individuati da autorevoli studiosi, e persino come lasciapassare per quei viaggi psichedelici tanto di moda negli anni settanta. Non è un caso che le avventure di Alice vantino numerose versioni cinematografiche (dall’indimenticabile cartone di Walt Disney al più recente film di Tim Burton) e di danza; nel tempo hanno destato persino l’interesse del teatro d’opera (il più noto adattamento di Alice in Wonderland si deve alla compositrice Unsuk Chin), per non parlare della sterminata produzione metaletteraria che è fiorita a partire dal popolare testo.

Alice – Ph Equilibre Monaco

Non poteva ovviamente sottrarsi all’incontro con questo personaggio un gruppo del calibro dei Momix. La loro Alice, che ha appena debuttato al Teatro Olimpico nell’ambito del nono festival internazionale di danza dell’Accademia Filarmonica Romana (di cui fa parte anche Pendleton, unico coreografo), è un meraviglioso spettacolo suddiviso in due parti, separate da un intervallo – forse questa interruzione è la sola cosa non strettamente necessaria, perché comunque va a interrompe la magia narrativa – e costruito come una successione di quadri, che non rispettano quella del romanzo, mescolando episodi di Alice nel paese delle meraviglie con altri di Attraverso lo specchio. A ogni spettatore è così lasciata la possibilità di costruire liberamente le possibili associazioni, secondo criteri – inevitabilmente – del tutto soggettivi. Il flusso delle immagini viene scandito da una colonna sonora d’epoca, costruita con musica leggera dagli echi vagamente retrò, scelta dallo stesso Pendleton.

Il sipario si apre su una gigantesca fotografia dal reverendo Dodgson (Lewis Carroll era solo il nom de plume del matematico oxoniano) e il primo quadro mostra la giovane Alice Liddell sospesa su una scala a pioli azionata dallo stesso professore. Nel filmato che scorre sul fondale comincia ad apparire il buco che poi permetterà ad Alice di addentrarsi nella tana del Coniglio Bianco, dove inizia il suo fantastico viaggio, tra immagini surreali che si succedono con una loro inesorabile logica, non sempre immediata da cogliere per i non iniziati. Spesso la bambina si moltiplica (se ne contano fino a quattro contemporaneamente), e lo stesso capita agli altri personaggi, certe volte con la leggera immaterialità del sogno, altre volte con sfumature inquietanti che si avvicinano all’incubo.

Per tutti i devoti ammiratori di Carroll, seppure in Italia lo scrittore non goda della stessa popolarità dei paesi anglosassoni, è divertentissimo assistere alle variazioni di altezza della protagonista, scorgere gli effetti della piscina creata dalle lacrime versate da Alice, riconoscere i diversi personaggi che spesso hanno subito radicali cambiamenti e visionarie rivisitazioni: il Cappellaio Matto, Tweedledum e Tweedledee, il Bruco, il Gatto del Cheshire, Humpty Dumpty, le regine, le carte che cadono, il giardino di rose. Ma forse le due visioni più suggestive sono la Regina di cuori, che volteggia sospesa nell’aria, e Cracked Mirrors, con cui si chiude la prima parte: i danzatori tengono sollevato uno specchio rettangolare che, riflettendo parte del loro corpo, dà luogo a fantasiose e plastiche combinazioni. Semplicissime e splendide nella loro essenzialità.

Giulia Vannoni