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Profughi in parrocchia – Non lasciamoli soli

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Profughi in parrocchia – Un salto nel buio. Non potrebbe essere definita altrimenti l’accoglienza di chi è “diverso”, non si conosce e arriva da lontano con tutto il carico di stereotipi e pregiudizi. Ma buttarsi e aprire le porte è possibile, e i risvolti possono essere inaspettati: insegnanti che impartiscono gratuitamente lezioni di italiano, i “forestieri”che collaborano ad attività di volontariato a braccetto con i riminesi “nostrani”; uomini e donne, giovani come anziani, che si affiancano ai nuovi arrivati nelle pratiche quotidiane. “Parrocchia accogliente”, il progetto lanciato con l’avvio dell’Anno giubilare dalla Caritas diocesana e proposto dal Vescovo di Rimini come una delle “opere segno” di Misericordia e Missione, è proprio questo: un percorso irto di ostacoli e timori che porta a mète inesplorate, ma anche gratificanti.

In diocesi sono già partite le prime esperienze di accoglienza dei profughi, ormai oltre cinquecento nel territorio. L’auspicio di “Parrocchia accogliente” era che ogni parrocchia accogliesse una famiglia o un piccolo nucleo di 4-5 persone in risposta anche all’appello di Papa Francesco “ad esprimere la concretezza del Vangelo aprendo le porte a una famiglia di profughi”.
Dalle parole ai fatti. La prima esperienza, a Rimini, è partita il 5 marzo a Sant’Andrea dell’Ausa-Crocifisso e riguarda una famiglia di quattro persone richiedenti protezione internazionale: padre sudanese, madre etiope e due bimbe di tre anni e quattro mesi. A loro disposizione, un appartamento nel cuore del quartiere e venti volontari che aiutano gli ospiti nella quotidianità, dai contatti coi medici di base alle lezioni di italiano, dall’accompagnamento nei negozi ai rapporti coi vicini.

“Ma dietro c’è il supporto dell’intera parrocchia” sottolinea il parroco, don Paolo Donati. La seconda esperienza è iniziata invece il 17 marzo nella zona pastorale di San Giovanni Battista, Colonnella, Regina Pacis, Cristo Re e Mater Misericordiae. Accolti, sempre in un appartamento centrale, due ragazzi nigeriani e due ghanesi, assistiti dalla Cooperativa Madonna della Carità da 7 mesi nell’ambito del progetto di accoglienza di emergenza per richiedenti asilo. Una decina di volontari li supportano nel quotidiano, sei insegnanti li aiutano ad imparare l’italiano. Nei giorni del Campo Lavoro Missionario, il 9 e 10 aprile, i rifugiati (nella foto un gruppo di accolti dalla Croce Rossa) hanno dato man forte, ma vengono coinvolti anche in altre attività benefiche. “Stiamo lavorando molto sull’integrazione, con diverse iniziative” spiega Anna Lucia Corsiati, l’operatrice della Cooperativa Madonna della Carità che si occupa delle varie fasi, dai primi incontri informativi nelle parrocchie all’individuazione delle prime risposte, fino alla risoluzione delle varie problematiche che si presentano lungo il cammino. Un cammino lungo e tortuoso, Anna Lucia non lo nasconde, “ma le comunità possono contare su un supporto professionale” sottolinea l’operatrice che appartiene ad uno staff di sei persone, coordinate da Cesare Giorgetti e dal referente del progetto per la Caritas diocesana, Luciano Marzi.

Ma cosa vuol dire accompagnare le comunità in un’avventura come questa? Fondamentale è la preparazione perché il reperimento di un alloggio, paradossalmente, è solo il punto di partenza. I migranti vanno accompagnati, non lasciati a se stessi. “La costruzione di una rete intorno a loro è la vera idea di fondo del progetto. Con le parrocchie che sono partite, o che stanno partendo, ci siamo visti spesso prima dell’inizio dell’accoglienza. Va spiegato loro come procedere, come relazionarsi ai ragazzi. E continuiamo a seguire le comunità anche una volta che l’accoglienza è partita”.

Più facile a dirsi? “Occorre avere il coraggio di buttarsi. Sono tante le difficoltà gestionali e tanti i blocchi che possono generarsi a livello emotivo – afferma Anna Lucia che questi timori li vede fin dai primi incontri con le comunità – ma la chiave è avere il coraggio di prepararsi, informarsi, non lasciarsi bloccare dalle paure o dal senso di inadeguatezza. Nonostante gli scogli, i feedback che ho avuto finora sono molto positivi e le persone che si offrono volontarie sono sia uomini che donne, giovani che anziani, insegnanti che operai: gruppi sicuramente eterogenei”.

Altre comunità si stanno preparando. Come?
San Gaudenzo e San Raffaele hanno individuato l’alloggio, Casa Betania, dopo aver firmato il comodato con cui le Suore Francescane Missionarie di Cristo (S. Onofrio) concedono la struttura in uso gratuito alla comunità, per l’accoglienza di cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale. Gli ospiti saranno all’incirca una decina. “Stiamo allestendo la casa, saremo pronti a breve” afferma il parroco di San Gaudenzo, don Aldo Amati. “La preparazione è stata fondamentale. Abbiamo avuto decine di assemblee parrocchiali, consigli pastorali, sono stati individuati 10-12 volontari per parrocchia”.

San Girolamo un alloggio lo sta ancora cercando. A Morciano dopo un primo incontro informativo sui profughi si sta riflettendo su come passare ai fatti. Cosa vuol dire prepararsi all’accoglienza? A Villa Verucchio, per prima cosa, si è creato un comitato di otto persone: sono loro a seguire ora tutto l’iter, per trasformare i buoni propositi in azioni concrete. In preparazione anche la zona pastorale di Bellaria Igea Marina e le parrocchie San Martino e San Lorenzo a Riccione.

Alessandra Leardini